Cineterapia: longer, bigger and uncut

Tutto al cinema sembra più reale del vero e nel buio notturno della sala perdiamo un po’ il legame con la realtà quotidiana, per immergerci in una specie di sogno guidato e condiviso – o quasi. Sospendiamo l’incredulità, sia che guardiamo un film di fantascienza sia che ci concentriamo su un “documentario” e come in ipnosi vogliamo credere  che quello che le immagini ci suggeriscono sia vero. Ci vogliamo credere almeno per quell’ora e mezza di sogno. Questa parziale vulnerabilità ci attira e ci spaventa: è uno dei meccanismi dei film horror, che crediamo “veri” anche sapendo bene che non lo sono. In fondo possiamo sempre interrompere l’esperienza alzandoci ed uscendo. Io, spaventato, l’ho fatto diverse volte in vita mia, ma io non sono Sigmund: lui non lo farebbe mai.

Quando usciamo dalla sala cinematografica ci sentiamo cambiati. Le emozioni e le riflessioni che lo spettacolo ha suscitato ci spingono in diverse direzioni, cambiano il nostro umore, in positivo o in negativo. E quasi immediatamente abbiamo bisogno di parlare di quello che è successo, ricostruire collegamenti, passaggi, la storia, le intenzioni dei personaggi, i buoni e i cattivi, il significato e la morale del film. O semplicemente abbiamo bisogno di sfogarci: “È una cagata pazzesca!”.

Il cinema è un’arte molto complessa con un linguaggio che a dire il vero solo pochi registi sanno davvero usare: pensate alla differenza che c’è, ad esempio, tra inquadrare il protagonista in un momento di disperazione in un parcheggio all’aperto, deserto, di notte, sotto la pioggia allargando l’inquadratura per includere sempre più desolato spazio vuoto, o riprenderlo senza allargare l’inquadratura e far dire alla voce fuori campo: ”Marco a quel punto provava un’intensa e desolante tristezza”…  Eppure il cinema nasconde questa complessità sembrando molto “facile”: tutti ci sentiamo critici cinematografici – anche a sproposito in realtà.

Proprio perché quando vediamo un film ci sentiamo cambiati più che con altre forme di arte, il cinema ha ispirato forme di psicoterapia, tutte classificate sotto l’ampio ombrello delle artiterapie. Così mi sono chiesto: esistono film che cambiano la vita? E come può un film fare tanto? Da queste due semplici domande ho cercato di mettere insieme una “microcineguida terapeutica” senza pretese di efficacia. Con questo caldo, poi, che c’è di meglio di un buon film con gli amici?

AVVERTENZA: quando si parla di film il rischio spoiler è sempre in agguato. Così se per voi un film è soprattutto una sorpresa che può essere rovinata da uno strappo nella carta del regalo da cui intuite il contenuto, non leggete la cineguida  poco terapeutica e andate direttamente più sotto, alla parte Discussione Dotta.

L’esperienza del limite

Alcuni film ci portano “al limite”, cioè ci portano fantasticamente dentro esperienze che non abbiamo mai fatto, ma avremmo voluto o temuto di fare. Ecco alcuni dei miei limiti rappresentati su grande schermo. Quali sono i vostri?

 

È stato uno dei film di fantascienza più inattesi degli ultimi anni. L’idea che degli “extraplanetari” alieni e gamberiformi siano l’immagine dell’umanità diseredata, esclusa e migrante e che il protagonista diventi moralmente umano quando, letteralmente, il suo corpo si ibrida con gli alieni è geniale. Preparatevi a scene angosciose, poetiche, ironiche e commoventi. Si è umani per come si tratta chi è diverso da noi?

 

Il Cavaliere Oscuro

Il bene, il male, il caos e la colpa. Un Joker tragico e filosofico sfida le fondamenta stesse della convivenza umana e ogni pretesa di razionalità, con piani assolutamente razionali e ordinati. Batman e il suo acerrimo nemico si sfidano sulla scacchiera di Gotham City, tra scene di azione e dialoghi implicitamente teologici. Per scoprire cosa davvero significa l’espressione “caos deterministico”.

 

Le invasioni Barbariche

Uno dei film più commoventi che abbia mai visto. Forse più commovente di E.T. Perché mentre nella favola di Spielberg il mito giudeo-cristiano della resurrezione spazza via l’angoscia della morte e dà la forza agli ultimi e agli esclusi (i bambini) di opporsi al potere dei grandi, nelle Invasioni Barbariche la morte è l’inevitabile destino tragico di un professore malato di cancro, che decide di morire circondato dai suoi familiari, dalle sue amanti e dai suoi amici. In questa sorta di Grande Freddo speculare (la morte è alla fine e non all’inizio del film, gli amici non sono giovani ma vecchi, tutti al termine della loro vita) l’ironia, l’intelligenza e la cultura vengono proposte come armi contro la morte, ma si rivelano per quello che sono: strumenti per vivere meglio, anzi al meglio, ma che contro la morte non possono nulla. La scelta finale del protagonista sembra l’unica possibile per mantenere la sua dignità di fronte ad una fine irrazionale e inumana.

Per gli indiani d’America c’erano giorni buoni per morire: e voi come immaginate la vostra morte?

Film Feticcio

Secondo me esistono dei film, non proprio bellissimi, a cui torniamo periodicamente o che abbiamo visto ossessivamente in un certo periodo della nostra vita. Di solito non sono classici, raramente contengono un messaggio universale, quello che hanno da dire lo dicono solo a noi, e forse pochi altri o almeno così crediamo. Non riveleremmo questo piccolo feticismo a chiunque; c’è un’ombra di vergogna in questo tornare e ritornare su quelle scene, ma saremmo ben felici di parlarne con amici davvero intimi. Faccio coming out: ecco i miei feticci, vi va di dire dei vostri?

L’Ultima Profezia

Un’improbabile storia di angeli in lotta tra loro, per acciuffare l’anima di un serial killer psicotico. Il motivo è demenziale e senza ritegno: c’è una guerra tra i celesti pennuti, perché a metà di loro noi esseri umani non siamo simpatici affatto. Per questo vorrebbero usare l’anima dello psicotico umano come angelica arma di distruzione di massa per far fuori l’altra fazione. Tutto il film si regge su un’interpretazione gigionesca di Christopher Walken, nei panni (niente di meno) dell’arcangelo Gabriele, tradito, amareggiato e incazzato come un picchio, perché Dio, his only and true love, ci preferisce. Proprio come un amante ferito ce la vuole far pagare. E cara. Alla fine interverrà anche Satana-Viggo Mortensen… Perché questa frescaccia mi piace? Perché sono sempre stato convinto che un angelo sia una figura terribile: l’angelo della morte che stermina i primogeniti d’Egitto vi sembra sia un’immagine dell’amore e della grazia? E poi come non essere d’accordo con la fazioni degli angeli che ce l’ha su con noi? Se foste belli, buoni, intelligenti, dotati, eterni, pieni d’amore e obbedienti non vi incazzereste se vi preferissero qualcuno scemo, brutterello, mortale, malaticcio, cattivo fino all’inverosimile, incapace di aspettare, fragile e scimmiesco come noi? Io sì.

Ma le scene più belle sono quelle dell’attesa di cui solo gli angeli sono capaci: c’è una scena in cui un angelo è ripreso fisso in una sola posizione mentre tutto intorno a lui le immagini, il tempo, scorre. Per me è la rappresentazione migliore dell’eternità nella sua forma concreta:  solo chi è eterno può aspettare, le attese di noi che moriamo sono cariche di impazienza, ansia e agitazione.

Noi non aspettiamo: reprimiamo la smania.

Mary Poppins

Per un breve periodo della mia vita, questo film Disney sembrava funzionare come un prozac. Facile da assumere, difficile da contestare e poi c’erano i cartoni animati insieme al film! Bei tempi, anche se ero un adolescente un po’ triste…

Tutti i film di Star Wars

Sì, lo so, questi sono film feticcio per moltissimi fan, e la prima trilogia è un classico. Ma io intendo proprio tutti i film, sì, anche episodio I, quello con Jar Jar Binks, che Dio lo maledica in eterno! Amen! Perché questo perdurare della passione per la saga di Lucas? Perché come ogni secchione un po’ sfigato e “succube” della prepotenza dei miei compagni di scuola, ho sempre sognato di poterli soffocare con l’unica facoltà in me ipertrofica: il pensiero. E poi le spade laser! No dico LE SPADE LASER!!
I want my personal Yoda.

 

Discussione Dotta

Un film può cambiarci la vita? Personalmente dubito che un’opera d’arte abbia questo potere. Di solito solo i rapporti o i traumi (che sono una mancanza improvvisa di ogni nostra risorsa e di aiuto da parte degli altri) ci possono cambiare la vita. Tuttavia sicuramente i film, e l’arte in generale, ci toccano. Ci sentiamo in qualche modo trasformati. Ma come avviene tutto questo?

Scomoderò un’importante psicologa, psicoanalista e ricercatrice, Wilma Bucci, che ha proposto un’ interessante teoria cognitiva per spiegare come avviene l’elaborazione e il cambiamento in psicoterapia: la teoria del codice multiplo. Secondo questa autrice la nostra mente funziona in tre modi differenti: sub simbolico non verbale, simbolico non verbale, simbolico verbale. Ok, fin qui sembra difficile, ma ora arriva il bello. Al primo tipo di informazioni appartengono gli stimoli sensoriali, sia esterni al nostro corpo che interni – sono il livello 0 delle emozioni, a cui spesso non facciamo assolutamente caso. E’ il livello di elaborazione che quasi automaticamente, senza operazioni della coscienza, ci fa calcolare dove metterci per ribattere una pallina giocando a tennis, o ci fa calcolare quanta forza mettere nel braccio teso per afferrare un libro su uno scaffale. La caratteristica di questo livello di funzionamento è di poter lavorare inconsapevolmente, su informazioni che variano con continuità (pensate ad una sensazione di calore, che appunto percepiamo come qualcosa che varia con continuità, senza salti) e senza che riusciamo a spiegare davvero fino in fondo con le parole cosa sta accadendo o come ci riusciamo. Le sensazioni e percezioni e schemi motori automatici possono unirsi insieme in un simbolo (il secondo modo di funzionamento, il simbolico non verbale), un’immagine, una rappresentazione che riassume e inizia a dare significato alla nostra esperienza: grande + morbido + blu+ lì + alto così + io seduto + comodo=divano. Riusciamo a formarci immagini di qualcosa che riassumono tutte quelle attività, percezioni e sensazioni che si compongono in un “qualcosa” di discreto (non a caso “simbolo”  in greco vuol dire “mettere insieme”). È ad esempio quel momento magico, ma in realtà molto frequente, in cui un’immagine fa “pop” nella nostra mente in relazione a una certa indefinita sensazione, l’illuminazione improvvisa eppure attesa su una condizione o su un problema. La terza modalità è invece completamente consapevole e si produce quando finalmente possiamo tradurre in parole le immagini che le sensazioni e le percezioni hanno suscitato. È a questo stadio che possiamo condividere con gli altri la nostra esperienza, collegarla ad altre esperienze, organizzarla e manipolarla con il linguaggio e finalmente possiamo decidere se e come modificare le condizioni che l’hanno provocata. Tutto questo corso di elaborazione dell’informazione (compresa l’informazione che ci viene dalle emozioni) prende il nome di ciclo referenziale: un continuo costruire e ricostruire il senso di quello che ci accade facendolo passare dall’inconsapevolezza fumosa delle sensazioni poco comprensibili a un racconto che possiamo condividere.

E cosa c’entra il cinema con tutto questo processo?

Il cinema ci propone tutti e tre i livelli contemporaneamente insieme MA incompleti: ci sono le immagini e l’evocazione di sensazioni ed emozioni talvolta lontane da noi o poco decifrabili; ci sono di nuovo le immagini che rappresentano senza parole, proprio come simboli, situazioni, esperienze, vissuti e significati; ci sono i dialoghi tra i personaggi e lo svolgimento ordinato della storia che rappresentano il livello linguistico, in cui c’è il pensiero che spiega e collega. Tutti questi livelli sono presenti insieme e stimolano in noi i corrispondenti processi, tuttavia non tutto è spiegato, non tutto è rappresentato, non tutto è suggerito come sensazione – questa incompletezza ci lascia lo spazio per “costruire” il nostro unico e irriducibile film. Riempiamo spazi bianchi e ambiguità con la nostra vita e come in una macchia di Rorschach possiamo arrivare a comprendere qualcosa in più di noi.

Ecco perché all’uscita del cinema sentiamo l’urgente bisogno di parlare del film: dobbiamo  collegare e ricollegare sensazioni, immagini e pensiero in modo da dargli un senso.

È tutta attività referenziale, baby!

 

3 pensieri su “Cineterapia: longer, bigger and uncut

  1. Per me il film più istruttivo è “Beatiful mind” che riporta la storia vera di un grande matematico affetto da schizofrenia, con allucinazioni, che ottenne il premio Nobel. La scena che più mi ha colpito è quando la sua prodigiosa intelligenza riesce a sovrastare la malattia e a riconoscere che le sue sono allucinazioni in base ad un ragionamento logico ineccepibile “La bambina non cresce, non cresce, non può essere vera!” E’ un esempio, unico credo, ma che può insegnare a non considerare gli schizofrenici dei dementi, anche la la prima definizione fu quella Dementia Precox. Gli schizofreici possono essere intelligenti, questo film cambiò la mia opinione sugli schizofrenici.
    Complimenti per l’articolo, molto interessante

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