Come tu mi vuoi: aspettative e placebo

UPDATE del 11.11.2012! Un articolo  molto interessante sul placebo e la mente inconscia. Clicca qui!

Iniziamo con un test.

Vi propongo quattro frasi. Di due vi darò l’autore, delle altre no.  Vorrei che segnaste da qualche parte quanto siete d’accordo con ciascuna, su una scala da 1 (totalmente in disaccordo) a 10 (totalmente d’accordo).

1) “Una riforma sociale deve fare tre cose: innanzitutto abbattere i muri che separano fra loro i diversi ceti sociali, per aprire ad ognuno la strada dell’ascesa sociale; quindi creare un livello generale di vita tale da garantire un minimo di sopravvivenza anche ai più poveri; infine provvedere affinché tutti possano essere partecipi dei benefici della cultura.”

2) “È meglio essere violenti, se c’è la violenza nel nostro cuore, piuttosto che indossare la maschera della non violenza per coprire la propria impotenza. La violenza è sempre preferibile all’impotenza. Per un uomo violento c’è sempre la speranza che diventi non violento. Per l’impotente questa speranza non c’è.”

3) Gandhi, Antiche come le montagne: “Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto sarebbe un crimine”.

4) Adolf Hitler, Mein Kampf: “Adempimento del dovere significa: non agire per sé, ma servire alla comunità.”

Al termine del post ci sarà la valutazione del test.

Ora, passiamo al post.

Se vi dicessi che è possibile far passare il dolore con un’iniezione di acqua fresca, sono quasi sicuro che non mi credereste. Eppure questa volta fareste meglio a credermi – e vi parlo con dati alla mano: successe infatti al medico americano Henry Beecher durante la Seconda Guerra Mondiale. Senza più morfina né altri antidolorifici, di fronte ai soldati feriti e sofferenti, tra arti amputati e corpi devastati, iniziò a praticare loro iniezioni di acqua distillata dichiarando che era morfina e che il dolore sarebbe andato via presto. Cosa che inspiegabilmente e clamorosamente accadde nel 30% dei casi!
Medici e psicologi danno a questo sorprendente “potere” della mente umana il nome di effetto placebo.

Dal bacino sulla bua, al condizionare un atleta con un placebo passato per doping perché raggiunga il massimo, questo effetto produce grande sollievo ai malati – e una certa dose di grattacapi ai medici. Sappiate che più spesso di quanto pensiamo i medici ricorrono ai suoi effetti: il 60% dei medici statunitensi ha ammesso di aver prescritto medicine “placebo” (soprattutto per dolori ritenuti”immaginari”), in Danimarca   l’86%, in Israele il 60%. E in Italia? Provate a chiedere al vostro medico… Ma l’effetto placebo non riguarda solo il personale sanitario e gli psicologi, intenzionati in fin dei conti ad alleviare la sofferenza dei pazienti, ma ahimè è sfruttato per venderci qualsiasi cosa: dalle creme dimagranti all’alga antartica, fino ai programmi elettorali, passando per la moda, gli alimenti biologici, le terapie alternative (omeopatia, agopuntura, biodinamica…) e – last but non least – la psicoterapia.

Vediamo di spiegare meglio di cosa stiamo parlando.
Supponiamo di voler capire se un nuovo farmaco antiemicrania è efficace. Potremmo prendere un gruppo di persone, supponiamo 100 volontari col mal di testa, dare a tutti una dose del farmaco e vedere se l’emicrania passa. E a un certo numero di persone il dolore svanirà: merito del farmaco? Non è detto. Chi ci assicura che l’emicrania non sarebbe passata comunque a quei fortunati? Ossia che siamo di fronte a una remissione spontanea, ossia l’evento per niente improbabile di guarire spontaneamente senza cure?
Bene, potremmo ragionare così: prendo 100 volontari con l’emicrania e non gli do nulla, prendo altri 100 volontari con l’emicrania e gli do il farmaco. E vediamo quanto è meglio il farmaco di niente.
Otterremo sicuramente un risultato positivo. A questo punto abbiamo sempre più fiducia che il farmaco “faccia bene”. Eppure… Vi ricordate il miglior indovinello dell’estate, nel quale vi proponevo di scoprire quale regola legasse questi tre numeri, 2,4,6? Le ipotesi sono fioccate, e la cosa singolare era che in un certo senso erano tutte “giuste” – ma nessuna era la risposta “vera”. L’unico modo per scoprirla era ragionare in base agli errori, cioè cercare di falsificare le nostre ipotesi e restringere il campo. Quell’esempio mostrava chiaramente che qualsiasi serie di risultati positivi non rende le nostre conclusioni certe:  il caso contrario è sempre dietro l’angolo, e dobbiamo andare a cercarlo per fare buona scienza.

Spesso basta un bacino sulla bua … quello si che “piace”!

Proviamo a riconsiderare questi due gruppi di doloranti volontari. A uno abbiamo dato “qualcosa”, a un altro niente. E se invece anche solo dare qualcosa a qualcuno che sta male lo facesse sentire un po’ meglio, alterando i risultati? Le mamme sanno bene quanto consolare o distrarre faccia calmare un bambino che sta male. Così scegliamo di dare a tutti e due qualcosa: a uno daremo un farmaco finto, come una pasticca di zucchero, all’altro uno vero. Solo se questo avrà un effetto maggiore della nostra “carezza sperimentale”, avremo la prova che il farmaco è efficace. Questo tipo di prova è la base della farmacologia, della medicina e dovrebbe esserlo per qualsiasi intervento terapeutico: si chiama test in doppio cieco. Ora, tornando ai nostri “soggetti sperimentali”, scopriremo con meraviglia che un buon 30% dei pazienti “zuccherati” (ma le percentuali possono essere sensazionalmente più alte!) riporta che il mal di testa è passato. Inoltre questa percentuale è molto maggiore rispetto a quelli a cui passava spontaneamente. E’ questa incredibile guarigione “magica” che ha ricevuto il nome latino di effetto placebo, ossia effetto “ti piacerò”.

Voodoo, un altro nome per “effetto nocebo”

L’effetto placebo è un fenomeno molto complesso, che ha a che fare con la farmacologia, con la neuroanatomia, con la sociologia della medicina e ovviamente con la psicologia. E va distinto molto  chiaramente da altri effetti che possono interagire con esso, come le guarigioni spontanee, che si verificano frequentemente, per qualsiasi malattia nota. Al centro di quest’effetto c’è l’aspettativa del miglioramento: quando un malato si convince che la cura che sta facendo è efficace, ne trarrà beneficio in modo molto più alto che se si convince del contrario – anche in presenza di cure valide, cioè dotate di una efficacia clinica dimostrata con le prove a doppio cieco. L’opposto dell’effetto placebo è noto come effetto nocebo, e si verifica quando un paziente è convinto che una qualsiasi pratica gli nuocerà, anche se è del tutto innocua. Si può arrivare, per l’ansia che questo effetto scatena, ad avere non solo forte aumento del dolore, ma anche effetti fisici più sconvolgenti fino ad arrivare all’arresto cardiaco. Per questi motivi, mentre l’effetto placebo è più studiato, quello nocebo lo è meno – e non provateci a casa da soli!

L’effetto placebo funziona assai più sul dolore che su altre patologie, perché i circuiti nervosi più attivati dall’aspettativa sono quelli relativi alle endorfine, cioè molecole con la stessa azione della morfina prodotte naturalmente dal cervello per ridurre il dolore. Ma non è l’unico circuito coinvolto: molto attivo sembra anche il circuito della dopamina, legata alla sensazione di piacere per una ricompensa (alla fine piace a tutti vincere facile);  ricevere un placebo ci fa sentire soddisfatti come se ricevessimo qualcosa di “reale”. Proprio perché anche la dopamina è coinvolta in questo meccanismo, il morbo di Parkinson, in cui la produzione di dopamina diminuisce sensibilmente, risponde molto bene all’impiego di placebo. Purtroppo però per poco tempo.

A pensarci bene, essere così creduloni è un enorme vantaggio evolutivo ed è legato alle relazioni di cura reciproche che sono diffuse tra i primati, e fondamentali per gli esseri umani. Nelle savane africane, 150.000 anni fa, sentire meno dolore perché qualcuno si prendeva cura di noi è stato un enorme vantaggio. Non a caso sono stati identificati dei tratti genetici che predispongono chi li porta ad una forte risposta al placebo per l’ansia sociale (la paura, ad esempio, di parlare in pubblico).

Il placebo è strettamente legato alla nostra vita di relazione,  ci lega gli uni agli altri,  è veicolato dalle nostre  appartenenze, ci fa comprare una cosa piuttosto che un’altra (interessantissima ad esempio questa prova in doppio cieco sul sapore del pane biologico e del pane “normale”, che potete trovare sull’ottimo sito di Bressanini) .

A me gli occhi, please

Ed è fortemente implicato nell’efficacia delle psicoterapie. Esistono infatti più di 400 forme di psicoterapia e “stranamente” sono tutte pressoché identiche quanto ai risultati (con alcune eccezioni, tuttavia). Questo è dovuto sia all’effetto placebo, sia all’esistenza di fattori comuni a tutte le psicoterapie – i cosiddetti fattori aspecifici. Non credo che ci sia da stracciarci le vesti, anzi, il contrario! Uno psicoterapeuta dovrebbe essere proprio qualcuno che riesce a favorire un cambiamento psichico, e promuovere le capacità del paziente di guarire operando in maniera consapevole su alcune variabili, come la relazione tra cliente e terapeuta, lo schema concettuale di riferimento, la sperimentazione diretta, l’apprendimento, l’apertura e la trasparenza, l’effetto placebo (ovvero una certa dose di suggestione positiva), la gestione delle resistenze e il setting. In breve il paziente sente di potersi affidare ad un terapeuta, che prende come modello di comportamenti e stili emotivi e di pensiero nuovi ed efficaci, all’interno di uno schema di riferimento che dà significato ai vissuti del paziente. Tutto questo con un “rituale” ben definito (il setting, appunto). Presi insieme questi fattori fanno in modo che il paziente sia più propenso a modificare il punto di vista su di sé e i suoi problemi, a sentire alleviata la sua sofferenza e a tentare nuovi modi di rapportarsi alle contingenze della sua vita. In breve a cambiare. Indipendentemente dalla scuola specifica. Saper agire consapevolmente su tutte queste variabili fa la differenza tra un terapeuta competente e uno che non lo è.
Personalmente, spero che un giorno si arrivi a insegnare LA psicoterapia, così come oggi si insegna LA cardiologia o LA medicina interna – una base comune ovvia e sicura, su cui poi nascono le differenze di un particolare approccio. Mi piacerebbe cioè che ci fosse un accordo pressoché totale sugli interventi di base, e che ci sia dibattito sugli ambiti molto specifici. Invece sembra non sia così se parliamo di psicopatologie diffusissime come l’ansia, la depressione, le ossessioni e le compulsioni.

Da ultimo, se volete approfondire vi consiglio un ottimo libro di Fabrizio Benedetti, “L’effetto placebo. Breve viaggio tra mente e corpo”, Carocci editore – troverete una gran massa di informazioni mediche, neuro anatomiche, psicologiche e anche politiche …

Ma è arrivato il momento della correzione del test. Pronti a una piccola sorpresa?

Gandhi by Quel

La prima frase è di… ehm… Adolf Hitler (26 febbraio 1942, Citato in Rainer Zitelmann, Hitler). La seconda del Mahatma Gandhi (in Antiche come le montagne). Che cosa voleva dimostrare questo test? Semplicemente che manipolando la vostra aspettativa  vi ha probabilmente  indotto a valutare più positivamente una frase di Hitler e più negativamente una di Gandhi di quanto sia successo con le altre due frasi, di cui ho dichiarato la fonte. Questo, in breve, è uno degli effetti delle aspettative. Interessante e inquietante, non trovate?


 

10 pensieri su “Come tu mi vuoi: aspettative e placebo

        1. Infatti è proprio il contesto a indurre l’effetto placebo: sull’ottimo libro che cito, si riporta addirittura che somministrare un farmaco VERO dicendo che è un placebo inutile ABBASSA la sua efficacia.
          E’ sempre la stessa storia, per cui siamo “animali creduloni”. E’ la nostra natura.

          1. Un farmaco VERO che riduce l’efficacia per via del condizionamento psicologico sulla sua presunta inutilità ??? E’ pazzesco.

  1. Da notare come la seconda frase, rileggendola attentamente e meditando su chi l’ha detta, acquisti un significato diverso. Ma forse è solo un tranello psicologico.

  2. Ciao!!!
    Come vedi sono approdato anch’io al tuo blog 🙂
    Ho appena fatto il test e, come immagino la maggior parte delle persone, mi sono ritrovato schierato con zio Adolfo… sigh!
    In effetti, rileggendo la prima frase risulta chiaro perchè si trattava di nazional-socialismo e fa pensare quanto, in qualsiasi tipo di politica, oltre al COSA vuoi realizzare, è dannatamente importante il COME!
    Ora che ho salvato l’indirizzo tra i segnalibri di Firefox resterò sintonizzato…
    Alla prossima!

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