Fateci caso!

di Stefano Ventura

Ti chiederò uno sforzo. È importante che tu metta tutto il tuo impegno nel seguire accuratamente le istruzioni che sto per darti: si tratta di un esperimento molto serio, i cui esiti sono ancora oggetto di ricerca psicologica.

Quello che serve è la tua massima attenzione: ti mostrerò un video, se puoi vedilo a tutto schermo magari un po’ distante per poter vedere tutta la scena. Ci sono alcuni ragazzi e ragazze che si passano palloni da basket. Ti chiedo di contare con cura il numero di passaggi fatti dai giocatori con una maglietta bianca.

Alla fine del video avrai la risposta al test.

Se è andata come al 50% di noi, ora sarai piuttosto stupito: ci sono più cose di fronte a noi di quante ne sappia la nostra filosofia, o il nostro occhio tutto preso a seguire un particolare di una scena trascurando tutto il resto. Non è forse così che i prestigiatori riescono a stupirci con i loro show?

Le cose tuttavia possono essere un po’ meno divertenti di così.

La “selective blindness” o cecità selettiva è un fenomeno molto studiato in psicologia cognitiva. In breve è l’incapacità di vedere qualcosa senza che vi siano deficit visivi (se siete miopi come me un po’ ci sta che a certe cose proprio non ci fate caso…). Pur non essendo completamente ignota prima, questo singolare effetto è salito agli onori dell’attenzione scientifica con l’articolo di Daniel Simons e Christopher Chabris che nel 1999 studiarono proprio le reazioni al video che avete visto sopra (1).

Ci sono alcuni criteri per definire questo effetto: innanzitutto, l’oggetto “invisibile” deve essere in realtà ben visibile (non vale barare, nascondendolo); chi osserva, se avvertito che nella scena c’è l’oggetto, deve essere in grado di identificarlo facilmente; l’oggetto deve apparire in modo inaspettato e l’impossibilità a vederlo deve essere dovuta all’impegno dell’attenzione verso altri particolari della scena. Se non rispettate tutte queste regole, in pratica, non vale.

Questo studio valse agli autori l’Ig Nobel  (una sorta di “Nobel” per le ricerche più assurde -l’ironia non manca agli scienziati), per aver dimostrato che anche i gorilla possono essere invisibili quando stiamo facendo qualcos’altro. Tuttavia ha delle conseguenze tutt’altro che goliardiche: pesate alle implicazioni nelle deposizioni dei testimoni oculari, o sulla prevenzione degli incidenti.

Come possiamo spiegare questa sorprendente cecità? Come vi dicevo, tutto questo è ancora materia di ricerca, e per approfondire vi consiglio l’ottimo libro di Simons e Chabris “Il gorilla Invisibile”.

Per quanto mi riguarda, trovo convincente la teoria del cosiddetto ciclo percettivo (2), secondo la quale la percezione avviene in due fasi: dapprima l’attenzione cattura uno stimolo saliente, e in un secondo momento la consapevolezza lo riconosce. Notiamo qualcosa se la nostra attenzione è “disposta” a cercare alcune caratteristiche nella scena, e se uno stimolo inaspettato somiglia ad una delle caratteristiche che stiamo cercando sarà molto più probabile che lo registriamo consciamente.

Tutta questa spiegazione mi spinge ad una conclusione quasi filosofica: alla fine la nostra realtà è quello a cui siamo abituati a fare attenzione, quindi se qualcosa non ci piace, forse il trucco è cambiare punto di vista.

 

 


1) Simons, Daniel J.; Chabris, Christopher F. (1999). “Gorillas in our midst: sustained inattentional blindness for dynamic events” (PDF). Perception. 28: 1059–1074. doi:10.1068/p2952. PMID 10694957.

2) Rock, I.; Linnet, C. M.; Grant, P. I.; Mack, A. (1992). “Perception without Attention: Results of a new method”. Cognitive Psychology. 24 (4): 502–534. doi:10.1016/0010-0285(92)90017-v. PMID 1473333.

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