Il 16 novembre 1984, quando il mondo finì, avevo 13 anni

di Stefano Ventura

Il 16 novembre del 1984 avevo 13 anni. Come molti miei coetanei vidi il famoso film “The day after – il giorno dopo”. Morte e distruzione in salsa nucleare,  fall-out atomico, morti accatastati,  malattia da radiazioni. Meglio di un film di zombi – anche se sinistramente più reale.
Per quelli della mia generazione l’espressione “the day after”  divenne abituale ed abusata: ancora me la gioco, sperando che a qualche quarantenne susciti il risolino, un po’ preoccupato, che suscita a me.
Quel film mi ha insegnato molto sulle  guerre nucleari. Infatti da quel momento so cosa fare: correre VERSO il fungo, non nella direzione opposta! Pochi millesimi di secondo e via un mucchio di preoccupazioni, tra cui ustioni devastanti, cancro, mutazioni genetiche, nausee, vomito, fame, carestia e una vita di miseria inumana che il nostro istinto ci contrabbanda come un bene: sopravvivere è l’istruzione di default della nostra programmazione animale. Vivere, però, è tutta un’altra cosa.

Con quelle immagini negli occhi della mente, gironzolo un po’ allibito su alcuni siti di preppers, dopo che un’amica mi fa leggere questo articolo, ormai “antico” apparso su Repubblica: “Dovresti scriverci qualcosa!”, mi dice. È un invito con un implicito, ovvio, a dire la mia sulla “normalità” di un certo comportamento o di un certo gruppo. Perché, appunto, è ovvio: gli psicologi possono distinguere chiaramente chi è “normale” da chi invece no… Così è attraverso questo articolo che inizio una sorta di stupefatto viaggio per incontrare qualcuno che di fronte al fungo nucleare avrebbe preso con convinzione la strada opposta alla mia. Si tratta di un tipo particolare di persona – il prepper.
Ma andiamo con ordine: chi è un prepper? Ecco una delle possibili risposte:

“Un prepper è un singolo individuo libero o può essere un gruppo autonomo di preppers che, in normali condizioni, si prepara anticipatamente ad un possibile cambiamento radicale adottando uno stile di vita che gli permetta di adattarsi all’ambiente e sopravvivere, senza fare affidamento su altre persone.

È meglio essere preparati e non avere bisogno che avere bisogno e non essere preparati :)” (http://italiapreppers.blogspot.it/p/chi-e-un-prepper.html)

In pratica è  qualcuno che si preoccupa DAVVERO che si possa verificare, se non una apocalisse atomica, un cataclisma gravissimo come un’inondazione, uno tsunami, un terremoto, una guerra con invasione, uno sconvolgimento sociale drastico … Quando dico “si preoccupa davvero” vuol dire che prende delle contromisure come: accumulare provviste, studiare un piano per mettere in sicurezza la propria casa, esercitarsi in corsi di sopravvivenza, studiare scenari di crisi e tutte le contromosse. Tanto per avere un’idea ecco un video molto istruttivo:

 

oppure, se avete lo stomaco forte e non siete vegetariani come me, questo:

 

Di solito cerco di non giudicare i miei simili per quanto bizzarri siano i loro comportamenti: sarebbe fin troppo facile scrivere un post per farsi quattro risate alle spalle di qualcuno, che tuttavia  valuta seriamente la possibilità che un supervulcano nel parco di Yellowstone possa esplodere e lui debba mettere in salvo se stesso e la sua famiglia in un mini-appartamento a New York… Mi chiedo con che spirito quest’uomo esca di casa e prenda la macchina, visto che è infinitamente più probabile morire in un incidente d’auto che venir sommersi dalla cenere di un supervulcano. E poi, costui, fuma?  Così, a dirla tutta, ho qualche difficoltà a non giudicare: nella mia pratica professionale mi trovo spesso a confutare il cosiddetto “pensiero catastrofico” dei pazienti – verso cui ho comunque la massima comprensione essendo anch’io piuttosto incline al catastrofismo. Ciononostante, per non cedere alla tentazione di “sputare diagnosi” (delirio paranoico? Qual è il livello di ansia e depressione di queste persone? Che rapporto hanno con l’aggressività?) mi chiedo: questo movimento ha una storia? In che senso il survivalism, ossia l’ideologia che c’è dietro la scelta di vita di essere un prepper, è uno stile di vita? E, soprattutto, vorrei vivere accanto a un prepper?

Pur avendo radici antiche nel millenarismo occidentale, questo movimento nasce tra l’America e l’Inghilterra, negli anni ’60 del secolo scorso, complice la paura della guerra fredda e alcune, molto popolari conferenze-seminario di Don Stephens, che da architetto insegnava come costruire un rifugio full-optional. L’argomento appassionava già allora, e temo abbia appassionato sempre gli esseri umani di ogni tempo, così saltando qualche decennio arriviamo negli anni Settanta e Ottanta durante i quali i libri di un certo Howard Ruff preconizzavano fame e collasso socio-economico in America con titoli ottimistici come “Famine and Survival in America” (Carestia e sopravvivenza in America) “How to Prosper During the Coming Bad Years” (Come prosperare nei prossimi brutti anni), senza dimenticare una delle bibbie del survivalism“The Alpha Strategy” del 1980, in cui l’autore John Pugsley chiarisce come mantenere provviste in casa per difendersi dall’inflazione e garantirsi un congruo margine di sopravvivenza. Il libro rimase per nove settimane nella lista dei best seller del New York Times, nel 1981. Balzando ai giorni nostri, la sub-cultura prepper ha molte sfumature, punti di vista, ed è una vera e propria galassia. Negli Stati Uniti, si sa, sono sempre più avanti, e spesso esponenti di questa visione abbastanza dura del mondo hanno comportamenti francamente esagerati, come quelli dei video che vi ho proposto. Sembra che in Italia gli accenti siano meno drastici-apocalittici, almeno secondo le dichiarazioni di Marco Crotta, responsabile del sito www.prepper.it, che vi invito a consultare per approfondire

Tuttavia, sullo stesso sito, in un articolo intitolato “Prepping e psicologia: come scimmie su un ramo” leggo

“[…]

C’era una volta…

… una scimmietta su un ramo che si faceva i fatti suoi. Altre scimmiette, vedendola, decidono di aggregarsi e cominciano a chiacchierare. Altre scimmiette ancora, vedendo l’assembramento pensano ci sia qualcosa di interessante su quel ramo e, curiose, vanno a vedere.Una delle scimmiette, rendendosi conto che cominciano ad essere in tante dice:

“Ragazzi… mi sa che siamo tanti su uno stesso ramo… Attenzione! Potrebbe spezzarsi!”

“Ma va là , cosa stai sempre a preoccuparti tu!! Sei sempre li a mettere via liane di scorta, ad accumulare frutta per l’inverno! Per me porti pure jella…”

“Ma no… è che siamo tanti, e sotto c’è il leone…”

“Figurati… dove stanno 10 scimmie ci stanno anche 11 scimmie, no?”

Proprio in quel momento si sente provenire dal ramo un sonoro “Crack!!”

“Ecco visto? ha fatto crack! Si può spezzare!”

“Ma cosa dici? ha fatto crack ma non si è rotto! vuol dire che è resistente! reggerà!”

“Non ne sono sicuro…”

E di nuovo… “CRACK”.

“Accidenti ! un altro crack! finiremo tutti giù!”

“Tutt’altro!! È la seconda volta che dimostra di reggere dopo un crack! visto che hai sempre torto?”

… E fu così che un crack dopo … tutte le scimmie finirono a terra e se le mangiò il leone…

[…]”

Su questa storiella credo ci sia molto da dire: intanto, stando al racconto, sembra che stare insieme ad altri sia rischioso – fossero state due scimmiette niente crack. In secondo luogo l’ambiente sociale è descritto come sconsiderato e canzonatorio. Infine il mondo esterno è molto pericoloso: un leone affamato è sotto il ramo. C’è, è sicuro. Non si può cadere e basta. In un clima emotivo così, quasi non vedo l’ora che il ramo faccia crack! Almeno mi libero dall’ansia: essere circondato da idioti faciloni mentre un leone affamato gironzola sotto un ramo sovraccarico non è esattamente una condizione di agio. E quando i fatidici crack avvengono, ecco che il leone mangia TUTTE le scimmiette. Ripeto, tutte. Non ne scappa una. Sta lì a bocca aperta e loro una dopo l’altra: plop! Stile fingerfood…. Vogliamo dire che questa storia ha qualche assunto poco plausibile? Descrive la percezione di una minaccia costante alla nostra sicurezza, una minaccia che obbliga chi la percepisce a fare qualcosa per non essere inadempiente, e ad accusare gli altri di esserlo, anzi, a dirla tutta, di essere anche del tutto deficienti, perché se il ramo fa crack mi sembra sensato cambiare ramo. Ma il ramo sta facendo crack? Sapete, una delle cose più difficili per tutti è quello di comprendere che le disconferme valgono allo stesso modo per le aspettative positive e per quelle negative. Purtroppo siamo inflessibilmente convinti che, per dimostrare che qualcosa che temiamo non sia affatto probabile, non bastino neppure cento prove contrarie. Eppure c’è chi lo sa perfettamente, e sa fare molti soldi sulla nostra inclinazione a temere il peggio: le assicurazioni vi chiedono soldi per garantirvi un risarcimento possibile, a fronte di un evento che né voi né loro si aspettano che accada. E sono floridissime! Segno indiscutibile che i guai non accadono con la frequenza che temiamo.

Comunque, al di là di queste considerazioni razionali, quello che non condivido di questa storiella è il senso di assoluta impotenza della scimmietta che teme e sente il crack, e che, nella realtà, è una persona preoccupata di quello che potrebbe andar male (dalla sovrappopolazione, al collasso ecologico, ai cataclismi sociali o  naturali) e che si ripiega su se stessa, preferendo accumulare provviste o prepararsi a sopravvivere piuttosto che combattere qui e ora con il suo impegno e il suo buon esempio per cambiare le cose. Persone così sarebbero utilissime nella Protezione Civile, dove potrebbero impiegare  la loro inclinazione a prevedere i peggio e a porvi rimedio, purché riescano nutrire una realistica fiducia negli altri: noi esseri umani siamo una specie sociale, non siamo al sicuro se rimaniamo soli. Amici prepper, da soli la sopravvivenza è davvero a rischio.

Per concludere,  mi sembra che un prepper è come qualcuno che abbia già rinunciato e si aspetti solo l’inevitabile, devastante crack finale.

Ma si può davvero barattare la mera sopravvivenza futura con il tentativo di costruire una vita piena a partire da ora?

54 pensieri su “Il 16 novembre 1984, quando il mondo finì, avevo 13 anni

    1. Sono d’accordo: la TV di propone quello che ti terrà li davanti a bere birra sul divano mangiando patatine.
      La realtà è molto diversa. Anche il sognor Grylls lo sa, ma dave prestarsi a fare il personaggio.
      Certo se la gente si documentasse di più e spegnesse la TV…

  1. Ciao Stefano, e grazie dell’interessamento.

    Mi spiace solo che tu non abbia riportato anche la parte successiva alla storiella delle scimmie che spiegava un po’ più a fondo il significato: forse non sono molto bravo con le storielle e ho preferito precisare, e la precisazione va in una direzione molto molto diversa da quella che hai presentato tu…
    Lo scopo della storiella era far vedere che, anche a fronte di molte avvisaglie, ogni scampato pericolo diventa, non già un monito per metterci al sicuro, ma una dimostrazione di quanto si possa abbassare ulteriormente la guardia. Una sorta di “al lupo, al lupo”. Ogni “crack” che sentiamo indebolisce realmente il ramo, ma il fatto che non si cada ci illude che non si cadrà mai. Spiegavo anche il “Normalty Bias” che a quanto pare è davvero molto diffuso…

    Altra precisazione: il prepper (italiensis) non è un misantropo, semmai un animale da branco. Non siamo aspiranti “lupi solitari” ma membri di una società, molti dediti al volontariato, e salvo rari casi, le nostre contromisure includono anche amici parenti che magari ci prendono per strambi, ma sanno sempre a chi potersi rivolgere in certe situazioni. Qualcuno ha avuto contatti con la Protezione Civile o con la CRI. Non voglio addentrarmi in questo pericoloso discorso, ma molti fatti di cronaca sulla gestione dei recenti terremoti e delle emergenze, mettono in luce aspetti ‘squisitamente politici’ che fanno dire anche a me ‘no grazie, ci penso da solo che sbaglio meno’.

    Se si può cambiare ramo, ben venga! Ma ci sono rami che si chiamano “esaurimento delle risorse naturali”, “impoverimento del suolo”, “scarsità di acqua potabile”, “crisi economica globale”, “aggravamento delle condizioni di vita” (vedi Spagna e Grecia). Su questi rami, mi spiace ma come cittadini c’è poco da fare perchè gli interessi in gioco sono enormemente più forti di ogni nostro sforzo dal basso. Se hai letto gli ultimi 6 mesi di “l’Internazionale”, partecipato alle conferenze di Coopy, visto alcune conferenze di TED del 2011, se il 15/5 eri anche tu a Plaza del Sol te ne sarai sicuramente fatto un’idea anche tu.
    Come vedi, molti di noi sono anche attivi, per quello che si può, nel cercare di migliorare le condizioni attorno, e non si limitano ad aspettare che si sfasci tutto per dire un inutile “avevo ragione io”.

    AH! Hai visto che a Genova, a seguito delle inondazioni dell’anno scorso, il Comune ha praticamente fatto “introduzione al prepping” agli scolari? Strategia: scorte di cibo e quello che chiamiamo ‘bugging-in’… Proprio cose da prepper! Evidentemente qualche esperto ha pensato che possano essere utili. (NB: non si considera affatto l’ipotesi di regolare i letti dei corsi d’acqua cementificati, non sia mai…)

    In effetti “sarebbe perfin troppo facile” fermarsi alle apparenze o considerare solo gli aspetti che la TV vuole mostrarti. Per ora hai visto solo i prepper statunitensi del Nationa Geographic, da cui cerco sempre di prendere quanta più distanza possibile su praticamente tutti i fronti. E non credere: sta sempre a me lo sforzo di smorzare le richieste di performances sensazionalistiche di giornalisti e operatori TV che mi chiedono di calarmi dai palazzi (giuro), comportarmi da pazzo, dire o fare sciocchezze. Quelle sciocchezze che poi danno in pasto al pubblico televisivo che poi, “troppo facilmente” si fa delle idee sbagliate perchè basate su cose false. Quando ci sarà la puntata su di me, spero di poterti dimostrare che si può fare prepping “cun grano salis”.

    Capisco che, ad una prima osservazione, la nostra sub-cultura possa risultare strana. Non mi sorprende che questo accada proprio nel paese in cui per 3 volte di fila hanno provato a rendere obbligatorie le cinture di sicurezza in auto. Ora, fortunatamente, il messaggio è passato, ma ai tempi l’italiano medio aveva persino preferito farsi le magliette con la cintura disegnata. Come potrebbe essere accolto il nostro messaggio in un simile contesto sociale?

    Sappiamo di avere alcuni aspetti molto “folkloristici” che potrebbero renderci risibili rispetto a quello che è considerato “normale” oggigiorno. Ma sul termine “normale” ci sarebbe da scrivere davvero dei libri interi, perciò lasciamo perdere.

    Per il resto, il mio stile di vita mi soddisfa, mi da la possibilità di vivere appieno ogni cosa e non sono pochi i benefici che ho anche ora: le mie scorte di cibo mi fanno risparmiare *adesso* un sacco di soldi, la mia preparazione fisica mi fa stare bene, in salute ed in forma *fin da ora*, le persone che conosco mi arricchiscono dal *primo* ciao, e quelle che aiuto, con le abilità che acquisisco man mano, mi sorridono appena faccio qualcosa per loro, che sia l’orlo di un pantalone, una bici aggiustata o altro, tutte cose che ho imparato “da prepper”.

    Per il “Crack Finale”: la regola base è che nessuno di noi ci spera, nessuno lo desidera, nessuno ipoteca la propria vita in funzione di quella eventualità.

    Ora, tutto quello che ho scritto fin qui riguarda il “COME” e il “COSA” facciamo. Riguardo al “PERCHE'” mi preme solo precisare una cosa: non è una questione di paranoia o paura. Accendiamo la TV e ci sono evidenti problemi in questo mondo, e nessuno (se non le ONG, o movimenti e la gente) sta facendo nulla per migliorare le cose, e i risultati non ci sono. Anche qui: è automatico, per non dire “perfin troppo facile” far scattare la domanda “ma a voi chi ve lo dice che capiterà qualcosa”. Domanda legittima, al punto che tutti la fanno, non senza un pizzico di supponenza o di sfida. Beh, per noi la questione è diametralmente opposta e la domanda sarebbe: “ma con tutto quello che vedi (se lo vedi…) e con queste premesse, come puoi pensare che, prima o po, non accada qualcosa?”

    A presto

    MC

    1. Gentile Marco,

      innanzitutto scusami per il ritardo con cui ti rispondo: purtroppo non sono riuscito a ritagliarmi un momento prima per fare qualcosa che mi piace, come rispondere i commenti sul blog.
      Intanto ti ringrazio per la chiarezza della risposta. Sollevi molti punti – e mi sembra di cogliere nell’accuratezza della tua esposizione che sei spesso “chiamato” a giustificare le tue scelte di vita. Lasciami dire che da gay, vegano e ateo mi trovo fin tropo spesso nella stessa condizione. Ma proprio perché mi trovo in questa condizione di essere un “oggetto curioso” so anche che nella curiosità altrui possono esserci molte cose oltre il dileggio; spesso c’è solo la curiosità legittima e la voglia di comunicare.

      Mi fa molto piacere che alcuni “prepper” collaborino con la Protezione Civile et similia, e sono anche ben conscio che le stranezze di uno non significano le stranezze di tutti. So bene, ad esempio, che ci sono credenti fondamentalisti e credenti che non farebbero mai male a una mosca. Ecco se possiamo continuare su questa similitudine, vorrei puntare l’attenzione proprio su questo: tra un Torquemada e un Martin Luther King c’è un abisso, eppure entrambi erano assolutamente convinti di sapere la verità, ossia che esiste un Dio solo e che è dalla loro parte. Ora allo stesso modo un “generico” prepper è assolutamente sicuro che prima o poi qualcosa di brutto accadrà (e scusa ma non so se esista una tautologia più ovvia di questa – per verificarla serve solo del tempo) e che per questo deve fare “da solo” perché della società, delle istituzioni, delle persone intorno non può e sotto sotto non deve fidarsi.

      Questo è il punto del mio post pieno di domande: c’è davvero così poca speranza di farcela a cambiare le cose? A seconda di come si risponde si è più o meno prepper (credo infatti che tutti noi siamo prepper, ciascuno a modo suo si “para” dal rischio).

      Ma facciamo un passo oltre.

      Vorrei approfittare della tua disponibilità e farti altre domande: un prepper usa prevalentemente mezzi pubblici? quanti sono i vegetaria/vegani tra di voi? Acquistate preferibilmente frutta di stagione? Consumate acqua minerale o del rubinetto? Evitate di acquistare merci con imballaggi inutili, ossia acquistate detersivi, derrate alimentari etc. sfusi? Le vostre attrezzature, quelle che usate per i corsi di sopravvivenza o per mantenere una scorta adeguata di strumenti utili, sono a impatto ambientale zero? Riciclate? Finanziate il micro credito per permettere un concreto cambiamento di vita alle persone? Sostenete i diritti riproduttivi delle donne (contraccezione, aborto) per contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione?

      Ti chiedo questo perché la mia risposta al “cosa posso fare?” l’ho data adottando molti di quei comportamenti, consigliati peraltro dalle organizzazioni e ONG sulle quali hai molti dubbi.
      Ad esempio, se mangiando un kilo di carne di manzo consumo 15.000 litri d’acqua, mentre mangiando un kilo di legumi ne consumo 5.000 (cito le cifre a memoria dall’ultima ricerca della Fondazione Barilla, una delle tante ricerche in merito, ma puoi andare sul sito di OXFAM o della fAO e ottenere tutte le informazioni in merito) è evidente che è meglio sostituire o almeno ridurre molto drasticamente il consumo della prima a favore della seconda. E l’acqua è solo una delle materie prime necessarie: non parliamo dell’eliminazione della cacca degli animali, delle loro carcasse, del riscaldamento degli allevamenti, dell’elettricità impiegata per illuminarli, degli antibiotici utilizzati per curarli e così via. E non hai idea di quanto risparmio fin da ora! Quindi, Marco, se non sei ancora vegano, diventalo subito!:) E spero che tutti i prepper lo vogliano diventare presto (sono convinto che il mio ragionamento sia più che convincente). Perché anche io così mi preparo al peggio, facendo quello che posso per evitare che accada.

      A presto!

      1. Ciao Francesco

        Permettimi di andare subito al punto. Comincio con lo sgombrare il campo dalle cose inutili e fuorvianti:

        A tutte le tue domande sullo stile di vita che conduco posso ripondere “sì o quasi” (quasi= non sono vegetariano ma conosco completamente il problema e limito i miei consumi in tal senso), ma proprio tutte, e da anni. Dalla bici per andare al lavoro all’orticello sul balcone, dal volontariato per i diritti sociali alle scelte etico-economiche di ogni genere (boicottaggio incluso), all’utilizzo esclusivo dell’acqua di rubinetto.
        Il fatto è che non mi interessa fare una gara a chi ha l’impronta ambientale più ridotta.
        Io lo faccio perche lo ritengo giusto. Non mi interessano le ragioni di chi non lo fa e se c’è qualcuno che lo fa meglio di me sono contento, per lui e per me, ma non mi faccio venire i complessi per questo.

        Ti spiego perchè le ritengo fuorvianti: Il prepping in generale non si occupa di come “prevenire ed evitare”
        i disastri. Pur essendo un argomento interessante non è questo il suo compito. Ha lo stesso senso che chiederlo ad lavoratore qualsiasi: rilevante dal punto di vista individuale ma con l’attività che svolge non centra una begonia.

        Ti spiego perchè le ritengo inutili: Le cose che menzioni hanno la giusta e condivisibile ambizione di limitare la propria impronta ambientale, rendere la società migliore. Ma proprio perchè le ho studiate a fondo e le pratico, sono dolente di dirti che non servono… La triste realtà è che siamo una minoranza risicata, e riusciamo ad avere un comportamento ambientalmente sostenibile (l’impatto “zero” è una palla: la verità è che va già bene quando la terra, e non noi, riesce a “curarsi” dalla nostra presenza da sola, ma non è possibile fare come se non ci fossimo). Ad alcuni di noi bastano le risorse di un pianeta. Altri hanno uno stile di vita che consuma le risorse di 5 pianeti alla volta. Ne consegue che, aritmenticamente, i nostri sforzi da soli non saranno mai utili ad invertire la tendenza. L’unica ambizione (illusione a questo punto) è quella di rallentare o rimandare i danni.
        Sottolineo che è un’opinione che mi sono fatto sulla base di dati numerici seri, non sull’onda emotivo-pessimistica o cose del genere. Io ho una formazione da scienziato, per me sono i numeri che hanno un valore, e in questo gioco i numeri sono profondamente a nostro sfavore.

        Insomma Stefano, non te la prendere, perchè sono cose che faccio anche io e perchè sono convinto che siamo sulla stessa barca, ma queste davvero sono piccolezze e sono ben altre le cose di cui come specie e come pianeta abbiamo bisogno. E nota, non è “benaltrismo” di uno che non è d’accordo con te e che guida un SUV, è il parere di un tuo ‘collega’ in questa missione che vede quanto questi tentativi siano come cercare di varcare a nuoto l’Atlantico: fattibile in teoria, impossibile nella pratica.

        Per rispondere alla tua domanda su quanta speranza ci sia: C’è… ma se ci si aggrappa solo a quella meglio lasciar stare. “Chi visse sperando morì [non si può dire]”. Servono azioni concrete e che abbiano un impatto profondo e su vasta scala perchè si cambi traiettoria. I comportamenti di pochi individui sono dei palliativi buoni più per la coscienza personale che per altro. I cambiamenti che servono passano attraverso le politiche energetiche, quelle della gestione di risorse primarie, culturali e via dicendo. E il raggio d’azione è di circa 6.300 km… tutta la terra. Se non è TUTTA la popolazione mondiale a darsi una sveglia non ci siamo, non abbiamo svoltato. Ora… facciamo finta di non dover convincere tutto il mondo, ma solo alcuni stati: Korea del Nord, Cina, Israele, Iran, Iraq, Pakistan, USA… Prendine due a caso e prova a metterli d’accordo su UNA cosa.

        Cambiamenti meno radicali non hanno un esito utile. Mangiare frutta di stagione, se siamo in pochi, ci fa bene all’intestino, ma non sposta una virgola al mondo. E’ come cominciare a risanare un’azienda risparmiando sulla carta igienica: gli ordini di grandezza non sono confrontabili e quindi è, da subito, una manovra inutile.

        Detto questo: tu non ti stai preparando. Stai adottando dei comportamenti che ritieni corretti con lo scopo di non danneggiare questo pianeta e la gente che ci vive. Stai provando a far sì che il problema non si presenti, ma se un giorno si presentasse tu sarai nella stessa condizione di chi non ha fatto nulla. Prepararsi è un’altra cosa.

        Detto questo: tu ti fidi delle autorità? Di queste? Gradirei avere anche io una boccata d’aria fresca e di fiducia, quindi se mi fai vedere come e perchè dovrei fidarmi e quali fatti ci sono a supporto, mi fai davvero un regalo. Non sto a giudicare, non voglio sindacare, non mi interessa un tubo di destra e sinistra. Guardo solo ai fatti e ai risultati. In Italia non si sta più bene, non come quando i nostri genitori, negli anni ’80, hanno fatto inconsapevolmente la bella vita alle nostre spalle.

        Questo è il tuo campo: l’animale uomo è altruista? Che comportamento ci possiamo aspettare dagli altri in situazioni di scarsità di risorse? Quali e quanti sono i frangenti in cui un nostro simile è per noi una fonte di pericolo più che di aiuto? Qui l’esperto in materia sei tu, quindi lascio a te la risposta. Dal canto mio mi limito a fare esperienza guardando la storia del secolo andato.

        In una risposta citi correttamente il principio della valutazione del rischio. Sostieni che se il rischio è poco probabile prepararsi diventa una perdita di energie e risorse. Personalmente (a parte il fatto che, come ti ho descritto, la mia vita è piena di occasioni di incontro e non mi manca nulla in tal senso) concordo. Conosco chi ha paura di volare e lo esorto a farlo lo stesso, proprio sulla base di questo ragionamento. Ma qui la cosa è diversa. Il nostro ramo fa crack da un pezzo. Il nostro aereo scricchiola sinistramente.
        Per questo per molti di noi la cosa non è più un “SE” ma un “QUANDO”… Speriamo mai.

        1. Caro Marco,

          sì siamo una specie altruistica. Ogni manuale di psicologia sociale, di quelli che si preparano per passare l’esame all’unversità, deve contenere un capitolo sul “comportamento prosociale”. E la prosocialità si sviluppa molto presto, già dai tre anni. Basta andare su “Le Scienze” (per non andare direttamente su PubMed e fare una ricerca di articoli scientifici) per trovare materiale. Sia chiaro non dico che siamo santi votati all’amore del prossimo, dico che nonostante tutto ebbene sì! siamo preoccupati per gli altri e se possiamo diamo una mano.

          Io condivido in gran parte le tue preoccupazioni, e non voglio convincerti che ho ragione a mantenere un bias positivo nei confronti del domani. Tu mi dici che la tua vita, già da ora, e nononstante l’attesa dell'”Evento” è piena e godibile. Non ho motivo di dubitare delle tue parole, ma parto dalla constatazione puramente fenomenologica che vivere bene nel presente attendendosi un grave problema nel futuro mi sembra almeno singolare.

          Detto questo il discorso diventa – una volta lasciate alle spalle le pregiudiziali di sanità mentale, cioè una volta appurato che non credo che di media i prepper siano matti o più matti della media della popolazione – un discorso etico e politico.
          E possiamo avere differenze di visione politica, ed impegno pratico, assumendoci la responsabilità delle conseguenze.

          Alla prossima!

  2. PS: Tutti dicono sempre che correranno verso il fungo… specie se:
    1) non hanno figli,
    2) del fungo non c’è neanche l’ombra.

    …poi 3 secondi prima cambiano idea 😉

  3. Di nuovo un bell’articolo 🙂
    e complimenti anche per aver stimolato il confronto con un prepper: secondo me può essere molto stimolante avere anche il punto di vista in prima persona.

  4. Ciao Stefano,
    ti premetto che non sono un prepper, ma una persona comune che vive la sua vita di tutti i giorni senza preoccuparsi troppo di “catastrofi imminenti”. Tuttavia da qualche tempo mi sono trovato a leggere qualche articolo su questo “movimento” ed a cercare di comprendere questo nuovo stile di vita che si sta diffondendo anche in Italia.
    Alla fine stiamo parlando di persone che fanno quanto è in loro potere per risparmiare delle risorse oggi, quando ce n’è disponibilità, per poterle usare poi, in un futuro che con la crisi economica stiamo attraversando resta incerto e precario; stiamo parlando di persone che cercano di organizzarsi, con la famiglia, con gli amici, con i colleghi per creare una rete di aiuto, di contatti, su cui possono contare.
    La storia delle scimmiette è, ovviamente, una metafora che dimostra come le persone in gruppo tendano ad uniformare il proprio sentire e le proprie opinioni anche negando l’evidenza ( il ramo si rompe e le scimmie cadono ) anziché accogliere anche solo la possibilità di un pericolo (piccolo o grande che sia).
    Francamente credo che ci sia veramente poco da dire al riguardo, evitando di soffermarsi troppo sui passi della storia, tranne che non è raro trovarsi in situazioni in cui la collettività sottovaluta l’entità degli eventi che si trova a fronteggiare. La storia al proposito è ricchissima di esempi (purtroppo): dal naufragio di una famosa nave da crociera alle dichiarazioni dell’ex presidente del consiglio in merito all’inesistenza della crisi finanziaria, fino alla valutazione degli eventi che hanno scatenato le svariate crisi economiche dell’ultimo secolo e ,mi sembra giusto ricordare come i vari paesi europei hanno sottovalutato Hitler all’alba della seconda guerra mondiale.
    Concludendo non credo che un prepper, facendo la formica(dalla storiella ben più datata della formica e la cicala che sicuramente ti sarà più nota) oggi non possa vivere appieno la propria vita. Certo ci sono sempre le eccezioni e gli estremisti, ma non credo che la vita da prepper sia una vita povera, anzi per quanto leggo in commenti precedenti direi tutto il contrario.

    1. Caro Francesco,
      non credo che una persona preoccuapata per il futuro sia una persona “matta”. Su questo non mi soffermo oltre perché credo che chiunque legga l’articolo capisce chiaramente la mia posizione. Se possibile mi interrogo e chiedo spiegazioni a chi ha fatto una scelta etica in base a duna precisa visione delle cose: “la tragedia e dietro l’angolo, mi devo preparare”. Non mi occupo direttamente di valutazione e gestione del rischio, ma in modo molto elementare per valutare un rischio si moltiplica l’impatto dell’evento negativo per la probabilità che questo avvenga. Se un rischio è molto probabile e molto grave me ne devo occupare sicuramente. MA se un rischio è molto grave ma molto poco probabile lo sforzo di prevenzione può diventare un blocco per altre attività. Quindi, se una persona sceglie di fare un corso di sopravvivenza (che credo sia molto fico: altrimenti certi personaggi televisivi non sarebbero così seguiti 😉 )per l’intensità delle emozioni che questo gli da non ultima la consapevolezza di potersela cavare in situazioni estreme, ottimo: tutti abbiamo bisogno di misurare noi stessi rispetto al mondo, c’è chi lo fa con il proprio lavoro, chi con lo sport, chi con un corso di sopravvivenza. Diverso è se si struttura la propria vita intorno ad un costante senso di imminente pericolo, che viene considerato quasi certo e di fronte a cui l’unica possibilità è prepararsi accumulando provviste, mettendo a punto tecniche di sopravvivenza, immaginando scenari non so neppure quanto plausibili. Secondo me muoversi in questo modo evidenza una sfiducia di fondo su ogni altro intervento possibile: io sono preoccupato quanto un prepper della sovrappopolazione e dello squilibrio ecologico che le nostre politiche industriali producono. Anche per questo sono VEGANO (quanti prepper lo sono?), prendo i mezzi pubblici e vado avanti con lo stesso nokia da circa otto anni. Ma non faccio provviste a rotazione in dispensa. Sarebbe anche il caso di parlare di efficacia delle proprie azioni, no?

  5. Cari tutte e tutti,
    sono stato un po’ impegnato e mi scuso di non aver ancora risposto. Giurin giurello, domani avrò finalmente il tempo e il piacere di rispondervi: potrete aspettare? 🙂
    Grazie dell’attenzione!
    Stefano (quello che non è Sigmund)

  6. Ciao Stefano

    Non sono Patrick Henry e me ne scuso, visto che sono uno di quei ridicoli teste bacate che menzioni nel tuo articolo. Non uso il mio vero nome perché sono paranoico, non mi vorrei trovare delle persone normali sotto la mia finestra o peggio entrare a casa mia con una di quelle camicione con le maniche lunghe lunghe.

    Visto che tutti noi abbiamo a disposizione le stesse informazioni io non capisco da dove venga questo tuo ottimismo e fiducia nella gente. Ma sei mai andato a vedere chi sono i nostri governanti, come sono stati eletti, chi erano prima di governare, sei andato mai a vedere cosa è il denaro, come viene creato, sei mai andato a vedere chi caccia i soldi per la protezione civile, per la croce rossa, sei andato a vedere questi qui che sono preposti a proteggerci e servirci chi sono, cosa fanno e da chi prendono i soldi? E sei ancora ottimista? Bravo, fai bene. Io intanto dormo sul mio cuscino di penne (la pasta, non il vestito dei poveri volatili) e spero che tu possa continuare a ridere di me e di quelli come me ancora a lungo, magari per tutta la tua vita e quella dei tuoi figli. Se non ne hai adottane uno e poi correte verso il fungo mano nella mano (disgraziatamente e lo ripeto, DISGRAZIATAMENTE dovessi aver ragione io), se questo è il tuo modo di voler bene. Il mio modo di voler bene è l’adattarmi, quella di imparare dagli scoiattoli e dalle formiche, quella di premunirmi come posso per me stesso e per i miei cari in vista di tempi che mi puzzano fortemente vista la bravura di questi piloti che guidano questo meraviglioso autobus che è l’umanità.

    Ma tu continua a ridere Stefano, continua a credere nella crescita infinita, continua a credere che l’economia è cambiare il telefonino ogni tre mesi, perché il modello nuovo è molto più “cul” (fa pure il caffè?). Che bello, spendere soldi che non abbiamo per comprare cose che non ci servono per impressionare persone di cui non ce ne frega un c….ehm, niente. Guarda Stefano, te lo dico sinceramente, pochi più di me vorrebbero che tu avessi ragione e tu continuassi a ridere a lungo di me e di quelli della mia specie, ma da dove sono io vedo le ditte chiudere e tante persone poverette non riescono a comprarsi l’aifòn cinque neanche a rate perché la finanziaria non gli approva il credito (è il numero cinque, vero?).

    Un’ultima cosa Stefano, tu sei molto più vicino a me che a banchieri e governanti vari, più di quello che vorresti quindi un dubbio, anche uno piccolino, fattelo venire che non si sa mai. E non lo dire a nessuno che poi ridono di te oppure dicono che sei incoerente 😉

    1. Ma io non rido. Ti faccio domande. Ma tu mi dici solo che sei preoccupato. Lo capisco, è umano.
      Quello che non capisco è perché mi metti in bocca e in testa pensieri che non ho, come quelli riferiti al progresso infinito, al cambiare il telefonino e a ridere di te.
      Poi, a proposito di formiche e scoiattoli, mi fa piacere che tu impari da loro – io preferisco aggiungere ai loro insegnamenti quelli degli uomini e a credere che non sono una monade (io e la mia famiglia e basta) ma che sono un memnro di una società e che solo se ci salviamo “società” ci salviamo davvero.
      Comunque, di nuovo, è triste per me apprendere dalle tue parole, che ti senti già sconfitto: per te il ramo è come fosse già spezzato.

      1. Capito per caso sulla Vostra discussione, molto interessante.
        Io credo questo: se una persona adotta uno stile di vita improntato alla preparazione ad eventi particolari, senza però nulla togliere alla serenità della famiglia e quindi prendendolo come “hobby” un po’ particolare, lo ritengo costruttivo.
        D’altronde i nostri governi lo fanno da decenni a nostra insaputa, costruendo armi e mantenendo eserciti con bilanci e fondi neri, alla faccia di TUTTE le Vostre famiglie.
        Io dico: allora LORO di cosa hanno paura?
        Badate bene, i primi “preppers” sono i nostri politici, in silenzio, da sempre.

      2. Ciao Stefano
        Sono contento per te che non hai l’aifòn, così magari puoi dirottare le tue risorse verso oggetti più “edificanti” :).

        Riguardo alla mia alimentazione sono onnivoro, nel senso che mangio di tutto, pure cose che non mi piacciono. Sono cosciente e sensibile alle tematiche ambientali ed uso le mie gambe per muovermi da un posto ad un altro usando il più possibile le mie gambe (con piacere fra le altre cose), cerco di portare meno acqua possibile al mulino di gente che mi sta sui cog…..ehm non mi piace in ogni modo a me possibile (non mi piacciono perché non hanno rispetto delle loro maestranze,non hanno rispetto dei loro fornitori, non hanno rispetto dei loro clienti, non hanno rispetto del pianeta in cui vivono, hanno rispetto soltanto del profitto e se per farlo dovesse morire qualche milione di persone meglio, così ci stanno più larghi), faccio la carità a quelli più disgraziati di me e vedi Stefano, non mi sento male con me stesso.

        Riguardo al prepping io sì, lo prendo seriamente ma a quelli che mi vivono intorno (mia moglie e mio figlio) lo faccio vivere come una cosa da brave massaie e come un’attività ludica appagante quando facciamo qualche attività all’aria aperta “pro-prepping”, la mia tristezza a volte traspare ma cerco di sdrammatizzare il più possibile.

        E’ vero Stefano, io sono triste. Mi intristisce la classe dirigente (loro però fanno la loro spesa, quello che fanno è logico pure se abominevole) ma mi intristisce ancora di più il popolino, quelli che si bevono tutte le palle che gli raccontano, quelli che gli pisciano in testa e gli dicono che piove e loro ci credono, ma se ti scansi allora ti trattano male (MA CHE FAI, SPUTI NEL PIATTO DOVE MANGI?) e se disgraziatamente fai notar loro che quella non è acqua, è pipì, allora ti possono pure lapidare. Ma quante ce ne sono di persone così, persone che non hanno temperanza, che non hanno senso critico, che a loro gli è tutto dovuto? Tutto questo mi intristisce e mi spaventa Stefano.

        Comunque a volte rido pure io, tante volte mi diverto in quello che faccio, pure in attività non connesse al prepping, non mi sento pazzo(il malato che non sa di essere malato :P) ma se mi dovesse servire uno “strizzacervelli” verrò da te, davvero. Se non ho soldi ti pago in riso e fagioli, se vuoi :D. Ah, Stefano, se tu avessi qualche domanda riguardo al prepping e ai preppers da farmi direttamente e personalmente io ti risponderò volentieri. Intanto continuo a passar da qui finché non si esaurisce la discussione 😉

        1. Pactrick,
          grazie della fiducia! non credo affatto che tu sia pazzo, e incidentalmente non si va da uno psicologo solo perché si è pazzi. Quelli sono davvero una minoranza dei pazienti. Più spesso perché si ha bisogno di rimettere in fila le proprie cose con le proprie forze: uno psicologo/psicoterapeuta competente non suggerisce “cosa” pensare/provare/fare – ma aiuta a riflettere sul “come” si è arrivati a pensare/provare/fare quel che si pensa/prova/fa in modo che le persone possano comprendersi e sentirsi al centro della loro esperienza. A rileggerti!

  7. Ho letto l’articolo e l’interessante scambio di commenti. Premetto che cerco sempre di essere molto aperta nei confronti di tutti i modi di pensare, poichè non credo mai che il giusto sia solo da una parte, ma, per lo più, sia frazionato nei vari pensieri e stili di vita.
    Quello che però, mi è parso, sia emerso è che, tutto sommato, sia più “facile” preparasi al peggio che cercare di evitarlo. Se così fosse allora, sarebbe meglio concentrare gli sforzi per raggiungere il prima possibile questo “peggio” e festa finita.
    Sinceramente mi sembra un “nascondersi dietro un dito” dire: io sono onnivoro, so che sto collaborando a distruggere il pianeta e sono molto sensibile all’argomento infatti non do i soldi ai cattivi (domanda: compri solo bio a km0?), ma tanto lo fanno tutti e quindi, visto che il processo non è arrestabile o riducibile mi preparo al peggio. Sto’ minimizzando è ovvio, ma il dubbio che nel ragionamento ci sia qualcosa di terribilmente sbagliato c’è. Non sarebbe più semplice sostenere la sostenibilità (gioco di parole voluto)?? Non è più semplice opporsi al sistema (politico ed economico) di oggi, facendo un passo indietro? E in questo coinvolgere amici e parenti? Esistono una marea di gruppi d’acquisto a km0 che sostengono le piccole realtà: artigiani, agricoltori, piccoli produttori. Se questi gruppi crescessero, aumentassero e riuscissero ad escludere il più possibile la grande produzione, portando via una fetta di guadagni tale da mettere le multinazionali in una situazione in cui non potrebbero più ridere dei piccoli, ma dovrebbero mettersi di fronte al fatto compiuto che i guadagni calano, non sarebbe meglio?
    In una società in cui tutto è riassumibile in “massa” (consumi, produzione, ecc.) tornare all’autoproduzione, allo scambio e a un rapporto diretto col produttore (sia esse un artigiano o un coltivare), non sarebbe anche questo “prepping”?
    Non è questione di ottimismo o pessimismo, ma solo che mi pare troppo facile violentare il pianeta in cui viviamo, non far nulla per cambiare le cose, ma “prepararsi” al dopo. Ad un dopo che cmq potrebbe anche non esserci o che magari ci sarà tra 100 anni. Facile così.
    Se parliamo “solo” di terremoti, alluvioni et simili è giusto sapere cosa fare in caso di, ma se parliamo, seriamente, del futuro dell’umanità e del nostro pianeta il discorso cambia e parecchio.

    1. Ciao Cristina

      Credo proprio tu non abbia letto la mia risposta a Stefano.

      Te la riassumo brevemente perchè puoi leggere tutto già li.

      1) Prepping e salvaguardia dell’ambiente sono attinenti: la mia “sveglia” è venuta da li…
      2) Cerco di fare di tutto per limitare la mia impronta ambientale e so che sto N-spanne sopra l’italiano medio in quanto a spirito critico, informazione, sensibilità all’argomento, e soprattutto AZIONI PRATICHE della vita di ogni singolo giorno. Quando uscirà la puntata su di me del National Geographic vedrai che so spingermi ben oltre “il confine dello schifo” quando si tratta recupero, riciclo e riuso.
      3) Il tuo ragionamento non regge dal punto di vista dei numeri in gioco e delle proporzioni. Numericamente quello che io,te,Stefano possiamo fare è una goccia nel mare. E bada bene: io continuo a farlo. Ma una cosa è essere degli eco-crociati, un’altra è saper guardare i numeri e capire la dimensione di quelli in gioco. Se basta una sgasata di un SUV (e non ti parlo dell’ILVA, della Cina, Fukushima e di tutte le altre cose GROSSE) per mandare all’alaria una settimana dei nostri sforzi, allora queste belle azioni che facciamo , e continuo a fare, non porteranno alcun beneficio reale alla causa GLOBALE di cambiare le cose.

      Tutte le cose che chiami “più semplici”, già ci sono e già le stiamo facendo, ma il loro impatto sul sistema è un pelo sopra lo ZERO e la dimostrazione è nei fatti. Siamo sempre più inquinati nonostante l’aumento di ecologisti nel pianeta.
      Le cose che proponi sono facili, e infatti hanno anche un ritorno molto molto basso. Siamo 1 su mille. Non faremo mai quanto gli altri 1000.

      Se poi mi proponi i tuoi “non sarebbe meglio” scadiamo davvero. Ovvio che sarebbe meglio: mi piacerebbe e sto spingendo anche io in quella direzione. Il problema è che NON E’ così e non pare proprio che la direzione sia quella, ne il trend. Quindi, belle speranze, ma di quelle di cui sono pieni i fossi. Sarebbe meglio rimanere sulla base del concreto e del contingente, pur lavorando per il meglio.

      Quindi.. “Facile così” un corno, perdona ma non sai a chi stai parlando e credi di parlare a chi sia CONTRO le cose che proponi, ma tra noi c’e gente che le fa da anni, perchè ci crede. Quindi quando parli di “violentare il pianeta” puoi pure rivolgere le tue parole altrove.
      Credo tu debba innanzitutto conoscere i tuoi interlocutori e poi affiancare alle tue corrette abitudini e scelte di vita uno sguardo più ampio sul contesto in cui ti muovi e guardare bene le statistiche ed i dati che ne emergono. Puoi confrontare l’esito delle tue azioni con quello dei tuoi vicini di casa, ma se tutti noi ci mettessimo a confronto con intere NAZIONI che vanno nella direzione opposta, saremmo dei poveri illusi.

      Riassumo banalizzando:
      Se cerchiamo di salvare la barca che affonda svuotandola con le mani ci sto, è da mò che lo faccio e so scegliermi i miei maestri in materia. Di tappare la falla sul fondo non si reisce neppure a parlarne (ed è qui il problema vero). Se non ti dispiace, mentre svuoto la mia parte, pensando che sarebe anche il caso di dappare la falla, mi vado anche a prendere un salvagente.

      1. Ciao Marco,
        il mio commento non era rivolto a te, ma era molto più in generale, quindi non prendertela così a male per ciò che ho scritto 🙂
        Il discorso è che non è così come dici tu, chi sceglie uno stile di vita sostenibile è molta di più. Gran parte delle persone che conosco e delle realtà che frequento danno il loro piccolo o grande contributo.
        Il mio discorso è ben diverso e mi spiego: non si può dire sono “sensibile” all’argomento e poi subito dopo prepararsi una bistecca. Se parliamo di statistiche quello che uccide il mondo sono proprio gli allevamenti intensivi e i campi coltivati a mais ogm (che nutrono gli animali degli allevamenti intensivi e riempiono che cose che mangiamo e compriamo).
        Il vero problema è che solo riflettessimo davvero sui problemi del pianeta (che non sono certo i governanti), come ad esempio l’inquinamento, carenza d’acqua, scioglimento dei ghiacciai, ecc. allora essere preparati non è detto che ci servirà (e attenzione non sto dicendo di non farlo o di non esserlo). Nello scenario più brutto che si possa immaginare, ci saranno milioni di persone che moriranno e non è detto che questo avvenga all’improvviso o che ci sia davvero la possibilità di affrontarla.
        Prepararsi ed essere preparati a “tutto” è sacrosanto, ma invertire certe tendenze è d’obbligo.
        Io non ti conosco Marco come tu non conosci me, ma non metto in dubbio che tu davvero stia riducendo il più possibile il tuo impatto da una parte, mentre fai prepping dall’altra. La cosa che non trovo coerente è chi “trascura”, se così vogliamo dire, la parte sulla prevenzione, dando tutto per perso.

    2. Cara Cristina il tuo commento mi sembra al quanto riduttivo. Considerare solo l’agricoltura e la conseguente minor “impronta” lasciata acquistando solo a km0 quando al mondo ci sono 7 miliardi di persone e che solo in India e Cina ce ne sono circa 2.509.826.033.
      India e Cina che storicamente fino a quasi l’altroieri erano paesi che dovevano ancora iniziare un sviluppo industriale, cosa attualmente in corso, con livelli d’inquinamento e consumo ( non solo di carne ed alimenti, temi a te tanto cari, ma anche di beni, servizi ed energia) impensabili per noi europei.
      Il problema è ben più ampio se pensi che questi paesi si stanno avvicinando velocissimamente al tenore di vita “occidentale” e che le risorse disponibili sul pianeta, soprattutto energetiche, già oggi sono in deficit.
      Tu parli di opporsi al sistema, di far crescere i gruppi d’acquisto ed altro, ma permettimi una domanda: quanti sono in totale i membri di questi gruppi d’acquisto? e in rapporto alle persone che si riferiscono allo stesso mercato?
      Certo comprare tutto Bio o km0 sarebbe bello, ma hai mai pensato che questi prodotti costano mediamente un bel pò più dei prodotti da supermercato?
      Senza contare che molti di noi lavorano o studiano e che l’autoproduzione di beni alimentari, perchè abbia un senso, richiede tempo e spazio difficili da trovare, sopratutto in città.
      Per concludere e non ricalcare troppo la risposta di Marco, il tuo commento anzichè essere pratico e concreto, in confronto ai numeri è fin troppo filosofico.

      1. I dati che ho citato non sono inventanti e se a te appaiono riduttivi mi dispiace, ma è la verità.
        Inoltre Cina e India sono paesi che inquinano più per le fabbriche che per l’industria agroalimentare. Non che questo sia un dato trascurabile è ovvio, ma inserito nel contesto dei dati è comunque un tasso di inquinamento inferiore a quello prodotto, a livello mondiale, dall’industri agroalimentare.
        Se i prodotti bio e a km 0 costano di più è solo perchè sono cibi “veri” se così si può dire. Quei prodotti non costano di più, hanno il prezzo che dovrebbero avere se non fossero prodotti in modo artificioso. E questo ci pensi rivoluzione l’idea stessa di povertà: mangiamo quindi non siamo poveri, ma allo stesso tempo mangiamo cibi che in realtà non ci nutrono, ma ci rendono sazi (il discorso qui sarebbe lungo e in rete e su molti libri è spiegato sicuramente meglio di quello che potrei fare io).
        Probabilmente frequentiamo persone e realtà diverse, perché io vedo moltissime persone che fanno parte di gruppi di acquisto, che acquistano i prodotti da chi li fa’, ecc..
        Dire ah si c’è quel problema, sarebbe bello risolverlo, ma non fare nulla e pensare di affontarne poi (un poi non meglio definito perchè non sappiamo realmente quando e come) le conseguenze mi pare parecchio riduttivo e in sè utile, ma fino ad un certo punto.
        Riassumendo il mio discorso: ok prepararsi, essere pronti, ma parallelamente cerchiamo di evitare che si arrivi al punto di mettere in pratica la fase di preparazione.

        1. Ciao Cristina

          Il discorso che fai è corretto: tutti sperano e fanno qualcosa perchè non si arrivi a quel punto. Lo condividiamo tutti, io per primo, e lo mettiamo pure in pratica.

          Per il resto: ognuno di noi è una pessima statistica della realtà perchè frequentiamo, per natura, per lo più persone che ci sono simili. Se poi le cose che facciamo ci assorbono tempo la cosa cresce. Se io facessi il tuo discorso direi che la maggior parte degli italiani fa l’informatico x campare, va in palestra, non fuma e non segue il calcio… pessimo bias di partenza. Noi vediamo la realtà dei GAS perche ne facciamo parte, ma la realtà è che la stragrande maggioranza delle persone non sa neppure cosa siano i GAS e pensa alle bollette.

          Sul “VALORE” del cibo e non sul costo sono infatti pienamente d’accordo con te. Tuttavia non posso non vedere che c’è chi ha fa scelte economiche diverse (che non condivido) o chi davvero non se lo può permettere.

          Sul peso relativo dell’impatto dei paesi emergenti, beh, li ci servono delle cifre o stiamo parlando del sesso degli angeli.

          Tuttavia possiamo avere dei dati interessanti anche senza andare così a fondo. Se guardi l’andamento dell’Overshoot-Day, mi pare che sia palese x tutti che le cose vanno sempre e solo peggio, a prescindere dagli sforzi che facciamo e continuiamo e continueremo a farea fare.

          Qui nessuno ha smesso di combattere per un mondo migliore, nessuno si è arreso e pensa solo al “si salvi chi può”. Ma pensare che sia una battaglia che sitamo vincendo è illusorio (da qui il prepping), pensare che questa strategia possa pagare è utopico. Le azioni nella nostra direzione devono avere impatti ben più drastici e pesanti per darci delle speranze.

          1. Guarda Marco, io penso che alla fin fine la pensiamo in modo più simile di quanto non appaia.
            Non dico che le realtà dei gas, per fare un esempio, sia così largamente sviluppata, ma credo e vedo che è un fenomeno in crescita, così come l’attenzione a certe tematiche e credo sia compito di ognuno di noi, nel nostro piccolino, cercare di divulgare il più possibile la consapevolezza di certe tematiche. Poi è normale che ci sono persone che non potranno mai permettersi certe cose, ma io vedo molta solidarietà in giro, persone che si scambiano prodotti in base alle loro capacità e possibilità (per esempio chi fa conserve le da a chi produce borse artigianali, in cambio di un suo prodotto), tutte cose belle, di nicchia, ma belle. Se tutti noi iniziamo a divulgare questo non credo che il mondo cambi, ma almeno in parte può solo che migliorare 🙂

    3. [Quello che però, mi è parso, sia emerso è che, tutto sommato, sia più “facile” preparasi al peggio che cercare di evitarlo. Se così fosse allora, sarebbe meglio concentrare gli sforzi per raggiungere il prima possibile questo “peggio” e festa finita.]

      Su questo mi pare che ci stiano lavorando altri alacremente, non voglio dargli una mano pure io

      Ah, io la bistecca tutti i giorni non la mangio, non vado a fare picchetti davanti a quei locali che vendono panini con la cacca macinata (hai mai visto Food Inc.?Ora che viene l’inverno quando non avrai niente di meglio da fare dagli una guardatina che veramente questi mangiano i panini con la cacca macinata dentro 😉 ), non guardo quello che hai tu dentro il piatto non sono in competizione con altri per salvare il mondo, il mio mondo da salvare è piccolo piccolo e non sono neanche sicuro di riuscirci Cristina ma intanto tiro avanti lo stesso anche se ho poche speranze. Forse a David de Rotschild gli riuscirà a salvare il mondo meglio di come faccio io lui mi sembra una persona molto più sensibile di quanto non lo sia io, sicuramente i mezzi non gli mancano. Grazie al suo nome da banchiere che presta i soldi ai buoni ed anche ai cattivi è riuscito anche a far passare anche la tassa sull’aria (carbon tax) . Cristina, non è che pensavi che respirare fosse gratis, vero?

      Intanto io non voglio sapere cosa mangi e che macchina hai, quanti vestiti e quante scarpe hai, quante docce ti fai e quanto le fai lunghe, quante volte tiri lo sciacquone, davvero, non me ne frega niente. Non voglio essere in competizione con nessuno con il salvataggio del mondo. L’unica cosa che faccio è quella di cercare di rimanere in questa valle di lacrime ancora per un pò, non gli do una scadenza a questa mia permanenza, e quella di mangiare quello che il buon Bog mi mette nel piatto vedendo di non sprecarne niente.

      Poi anche io cerco di fare proselitismo nel mio piccolo, di dire “se invece che comprarne uno ne compri tre ci devi tornare due volte di meno”, “se compri l’acqua nelle bottiglie di plastica paghi la bottiglia, non l’acqua che c’è dentro e poi la bottiglia la butti via, ma non ti senti un pò fesso, neanche un pò? Bevi l’acqua del rubinetto, il 99% delle volte è potabile” ed altre amenità del genere così un vegano può dirmi tranquillamente che con quello che costa in soldi la carne con un chilo di fettine ci fai prepping per una settimana, spendi meno, riduci la tua “carbon footprint” (ma che bella parola, eh Cristina?) e mangi lo stesso proteine e grassi, io non posso che dargli ragione. A questo punto la carne per me è diventata un piacere, quasi un peccato (il piacere della carne, suona bene no?) che visti i tempi che corrono mi concedo sempre più raramente

      Io credo che invece che accusarci a vicenda su chi di noi due sia più inutile e guardarci la punta delle scarpe dovremmo guardare nella direzione di chi veramente sta fottendo il futuro nostro e quello dei nostri figli e perlomeno prenderne atto, non quella di fare la figura di “er cane di Mustafà”.

      1. Guarda posso essere d’accordo su tutto e su niente, ma io non accuso proprio nessuno.
        Mi sono solo posta la domanda: non è che è più facile dar tutto per finito, piuttosto che salvare il salvabile?
        E la risposta ora ce l’ho e sono ben felice di aver scoperto che alla fine non è come mi sembrava.
        Poi io, per come sono nella mia vita di tutti i giorni, sono la prima a pensare che forse una bella apocalisse (per citate il programma tv) in stile “profezia Maya” ci vorrebbe per epurare un po’ il mondo, ma nonostante questo io, come te, come tutti, tiriamo avanti cercando, quando se ne ha la consapevolezza, di dare il proprio contributo in positivo.

        1. dai Cristina, stai su, lascia la tristezza a noi preppers 😀

          Davvero, se sei triste di come va il mondo ti capisco perfettamente, siamo almeno in due qui dentro ;)….

  8. Giusto per dare l’esempio e portare qualche fonte, India e Cina sono rispettivamente al 3° e 1° posto per l’inquinamento(http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/7116-i-paesi-piu-inquinanti-del-mondo oppure http://www.corriereweb.net/index.php?option=com_k2&view=item&id=22770:i-10-paesi-pi%C3%B9-inquinati-al-mondo&Itemid=216)
    anche se una recente, 2010, indagine di focus cambia leggermente la classifica ( cina 3° usa 2° brasile 1° mentre l’india è 7° )http://www.focus.it/ambiente/ecologia/la-classifica-dei-paesi-piu-inquinanti_-18052010_87654/la-classifica-dei-paesi-piu-inquinanti_-18052010_87654_1_PC12.aspx

    Mentre qui si può trovare il consumo di petrolio per paese relativo al 2010 http://www.indexmundi.com/map/?v=91&l=it con india e cina, assieme a usa e giapone confermati tra i primi cinque posti che, considerando il loro rapito sviluppo, credo finiranno tra breve in cima alla classifica.
    Cercando invece dei dati che confrontino l’agricoltura con altre attività dal punto di vista dell’inquinamento ho trovato questo interessante rapporto dell’ente europeo per l’ambiente che evidenzia come l’agricoltura( che comprende l’allevamento ) sia superiore ad altri settori solo per uno dei tre agenti inquinanti analizzati ovvero i composti azotati/ ammoniaca.
    Questo giusto per sostenere quanto detto in precedenza! 😉

  9. Cari tutt*,
    che post commentatissimo! mi fa molto piacere, perché si è creato un piccolo angoletto in cui confrontare posizioni differenti. E sono anche soddisfatto del livello.
    Siccome amo la provocazione intellettuale, vi rivelerò che sono vegano ma non credo che l’agricoltura bio sarà la soluzione, non ho particolare fiducia nel km. 0, mentre nutro una sfacciata fiducia nelle possibilità che la nostra tecnologia ci offre; sono personalmente convinto che ora come ora ci conviene puntare molto più pesantemente sulle biotecnologie, gli OGM, l’agricoltura industriale, limitare l’allevamento e intensificare gli sforzi sulla differenziazione delle fonti energetiche.Non vi riporto neppure una fonte, perché non voglio innescare un flame, ma solo incuriosirvi e avendo fiducia che siamo tutti ottimi “rovistatori web” troverete sicuramente dati su queste affermazioni. Un consiglio: provate a considerare questi fatti: ci sono infinitamente più fonti contro gli OGM che pro, ma quanti di noi hanno mai letto un articolo pro? Sembra che la nota azienda di supermercati Carrefour abbia un fatturato superiore alla Monsanto. Eppure siamo tutti convinti che la Monsanto sia una potente multinazionale… Da un po’ ho cominciato ad applicare il pensiero critico a chi afferma di fare critica: non vi sembra che negli ultimi anni basta alimentare il sospetto per avere immediatamente (e paradossalmente) credito? – io ho scoperto un mondo molto diverso, faticoso quanto il dubbio, ma molto più ricco di possibilità… A ciascuno i suoi percorsi! 🙂

    1. Ciao Stefano.
      Sono d’accordo in linea di massima su quello che dici nella tua risposta. L’unica cosa che non condivido è ” …ora come ora CI conviene puntare molto più pesantemente sulle…”.

      Ecco, secondo me quel “CI” è un po’ un’illusione. Nessuno di noi decide come producono le industrie e su cosa investono. Il boicattaggio (che pratico) non ha quasi mai avuto questo risultato su scala globale. Puoi convincere una BusinessUnit di una multinazionale a non produrre più nel tuo paese il gelato X, ma lo produrranno in un’altro paese e a noi rifileranno cmq dell’altro.

      Quello che possiamo vedere è che una CAUSA LEGALE multimiliardaria è in grado di cambiare le cose molto prima, molto meglio, e più a lungo di qualsiasi azione dal basso: MerDonalds Docet.

      Le multinazionali seguono solo del indicazioni dei loro consigli di amministrazione.

  10. Non sono un prepper, ma non nego che avendo buona memoria e non avendo 15 anni mi ricordo di come si stava tempo fa, vedo come si sta oggi e mi faccio due conti in tasca. Mi incuriosiva l’argomento e sono finito qui.
    Fare questa cosa del prepping secondo me non è da pazzi, tutt’altro, ma è una cosa che uno fa perchè non si sa mai.
    Nessuno quando prende la moto pensa di schiantarsi al suolo ma il casco se lo mette anche se gli impedisce di sentire/vedere, perchè se cade…

    Al di là del fatto che concordo quando si dice che si può adottare un certo stile di vita ma che non sia pressochè di nessuna utilita se non nel micromondo che ci circonda. Non è importante se frequentiamo persone che creano un impatto ambientale minimo e crediamo che si possa davvero vivere così ovunque, perchè è evidente che non riusciamo a renderci conto di quanti siamo e in che condizioni si sta nella maggior parte del globo. Queste cose di cercare di mantenere un basso impatto sono giochi per noi bambini ricchi di paesi ricchi che perdiamo tempo a discernere davanti a un monitor, ai MILIARDI di persone che vivono sotto la soglia di povertà non importa una cippa campioni dell’impatto ambientale che hanno. Il taglio degli alberi in Madagascar ne è solo un esempio e ce ne sarebbero migliaia. Ho scoperto che il consumo al dettaglio produce 1/70 dell’inquinamento solido che produce l’industra. Se ogni consumatore del mondo (compreso il terzo mondo) facesse la differenziata rimarrebbe il dettaglio della altre 69 parti, e da 69 a 70 la differenza è prossima allo 0 (e stiamo parlando di 7 miliardi di individui che fanno la differenziata).
    Questo dipende dalla civiltà a più velocità che abbiamo creato noi (la nostra cultura dominante). Basti pensare che l’Africa è il continente più ricco di risorse del pianeta e contemporaneamente quello più povero. Quantomeno bizzarro. Perchè per fare un ricco ci vuole un povero, ma due sono meglio. E’ il prodotto della nostra civiltà e non è un prodotto reversibile, anche considerando il fatto che probabilmente fra qualche anno saremo troppi per le risorse disponibili (se non lo siamo già).
    Siamo solo una specie come ce ne sono state altre e come ce ne saranno altre, il pianeta crea ed estingue, è il suo lavoro, lo fa da milioni e milioni di anni e noi siamo qui da un battito di ciglia. Il pianeta non si rende nemmeno conto di noi, inteso come pianeta in sè. Se intendiamo il pianeta come una casa da mantenere pulita ok, ma allora parliamo del pianeta dal NOSTRO punto di vista, come una formica concepisce il suo mondo in un metro cubo di terra. Lo stiamo rendnendo invivibile per noi, non per il pianeta “itself”.
    Il pianeta è sopravvissuto ad impatti con asteroidi, eruzioni vulcaniche di massa, tempeste magnetiche, sciami di meteore, inversione dei poli, radazioni derivanti dalla fusione nucleare in atto sul sole durante orbite più ellittiche e cenitnaia di atre cose, non crederemo davero di essere noi un problema? Sarebbe come pensare che un TIR ai 130 in autostrada possa sbriciolarsi perchè colpisce un nugolo di moscerini.

    Ci estinguessimo domani tra mille anni non ci sarebbe nessun segno del nostro passaggio, e mille anni per un pianeta sono in proporzione tra la sua vita e la mia il tempo che io impiego a digitare qui la lettera P.

    Che ci possano essere poi studi sull’altruismo in certe non ne dubito, ma gli studi fatti in condizioni di un certo tipo variano se l’ambiente varia. Durante un terremoto o un simile (sono emiliano) certo che ci si aiuta, lo so, ma la prospettiva di un ritorno alla normalità in un tempo relativamente breve c’è ed è realistica. Ma ho come il sospetto che se c’è un barattolo di cibo e ci siamo io e te non lo dividiamo se sappiamo che la situazione non è destinata a migliorare. Se quel barattolo mi permette di arrivare a domani sono disposto a uccidere pur di non morire. So che in quelle condizioni lo farei. E non sarei l’unico.

    1. Ciao Norman,

      poni questioni giuste. Due sole considerazioni. Personalmente credo che tutti noi abbiamo diritto al benessere, ma non al lusso. L’acqua in bottiglia è un lusso. Le merendine col triplo incarto sono un lusso. Per venire alla mia scelta etica, la carne è (era) un lusso. L’automobile è un lusso, i trasporti di massa efficienti ed economici sono un diritto. E così via.
      Quale partito partito politico fa questa semplice considerazione? Su questo io sono d’accordo con ogni singolo prepper. Che però fa anche questa considerazione: avverrà un crack così epocale che sconvolgerà istantaneamente o quasi il nostro stile di vita, per questo dobbiamo prepararci – perché quando dovrò litigarmi con te quel barattolo voglio essere ben allenato per afferrarlo immediatamente.
      Non si tratta di “pazzia” ma di una conseguenza perfettamente comprensibile inuno scenario francamente molto negativo.
      Tutte le risposte che mi sono state date, all’osso sono state: è inevitabile che questo avvenga, ogni nostro tentativo ora è perfettamente inutile, non ci resta che prepararci fin da subito.
      Io non sono convinto che le cose debbano necessariamente andare improvvisamente e traumaticamente così male. Non sono convinto che non ci sia assolutamente nulla da fare.
      Vorrei però sottolineare che alla fine nessuno dei commenti qui, e neppure il mio post, era CONTRO i prepper e quello che dicono. Di fondo siamo dalla stessa parte.

      Un saluto e a rileggerti

      1. Ciao Francesco
        Innanzitutto grazie per il tuo parere professionale: è ufficiale non siamo pazzi. hehehehe 🙂

        Altra cosina: il fatto che l’ “EVENTO” (come lo chiamiamo noi, o più volgarmente il ‘patatrack’) sia improvviso e traumatico è una delle possibilità.
        Esiste anche il fatto che il cambiamento sia mooolto moooolto lento e che distribuisca il trauma su un lasso di tempo lungo (mesi, anni) che ci faccia “abituare” alla cosa. hai presente quando si rinuncia gradualmente ad un diritto sociale alla volta? “in fondo è poca cosa…”

        Ultima cosa: non è una provocazione ma uno stimolo al confronto. Tu dici che ‘sei convinto’ che ci siano ancora delle possibiltià. Il mio punto è, a parte le convinzioni, che ci configurano prossime all’atto di fede e alla speranza, cosa hai di concreto per pensarla così? Vista dal tuo peculiare punto di osservazione professionale, non accade sempre o quasi che ci sia la tendenza a negare o rifiutare il danno, l’ineluttabilità del male, e che si opponda ad esso sulla base della sola speranza anche quando non ci sono numeri a supporto?
        I numeri che abbiamo cosa dicono?

        1. Marco,

          chi è Francesco? 😀 forse vista la lunghezza del thread mi hai ribattezzato Francesco… anche sei io sono Stefano, almeno finché qualcuno non mi convince del contrario :D.
          La negazione del “danno” o del “problema” è frequente quando viene diagnosticato un cancro o una malattia incurabile. Certo non posso invertire il discorso: chi nega il fatto che ci sia un problema non è detto che ce l’abbia davvero… Inoltre il fatto che un paziente sia preoccupante non vuol dire che sia grave, né essere grave significa morte certa.

          Come ti dicevo, comprendo bene il punto di vista “prepper”. Anche se la mia domanda è: come fare perché la situazione cambi? Il punto è questo. e come ti dicevo, rispetto chi dice “mi preparo per l’imminente patatrack”… anche se né lui né io abbiamo prove che avverrà o non avverrà. E’ un fatto di fede?
          Non credo: io ti propongo di dare un occhiata agli studi di Seligman sull’ottimismo appreso. c’è un ottimo libro che si chiama “Imparare l’ottimismo”. Con alcune sorpresine sul potere dell’illusione ed il realismo dei pessimisti: pare infatti che chi è pessimista valuti molto accuratamente la realtà, ma chi è ottimista, stranamente, ha molto più successo e soddisfazione. Una lettura stimolante. 🙂

          1. Si… ok… ma pessimismo ed ottimismo sono fattori che sinceramente non mi interessano. Io sono un’uomo di scienze. Per me contano i numeri, non come si sceglie di interpretarli e che impatto questi hanno sull’umore.
            Quindi guardo i numeri che descrivolo la situazione ed il suo outlook. A me pare che la situazione non sia buona (per parafrasare Celentano), mi piacerebbe confrontarmi con chi la pensa diversamente ma ne trovo pochi… Mi pare poi che l’outlook sia negativo: è vero che ci sono delle grosse possibilità nella tecnologia, ma è anche vero che NESSUNO le sta indagando e tantomento mettendo in pratica, vedi le auto ad Idrogeno e via dicendo. Piccole comunità e ricercatori fanno sforzi enormi per un passo avanti, poi passa una multinazionale, ti compra il brevetto o l’università intera e tutto va avanti come prima… Siamo sinceri: ma le cose negli ultimi 10, 20 anni, sono andate MEGLIO o PEGGIO per il mondo? e per la gente? L’overshoot day, da che parte va?

            Ottimismo, pessimismo e fede per me sono facce diverse dello stesso bias: tutta fuffa.
            Voglio dati concreti. Ragiono solo su quelli.

            Quindi ancora: a parte le belle speranze e le preghierine, abbiamo dei DATI che ci dicono che almeno stiamo cercando di cambiare? a me pare che tutti lo vorremmo ma il risultato finale è un sonoro “NO”.

            Per me, purtroppo, al momento, la speranza nel futuro è solo un’atto di fede. Lo faccio anche io, per carità, sono umano… ma non ci scommetto.

          2. Marco,
            non mi imbarco su inutili polemiche circa i dati dei danni ecologici, anche perché siamo d’accordo, la situazione è preoccupante. E poi sono sicuro che sei molto allenato a controbattere ed avrai interesse pari a zero per questo.

            Guardano le devastazioni del’uragano perfetto che si è abbattuto su NYC, mi sono chiesto: se davvero ci fosse un “patatrack” centinaia di volte più devastante di questo (perché stiamo parlando di un grosso, grossissimo evento, non di una serie di eventi che possiamo prevedere e a cui possiamo prepararci) a cosa mi servirebbero cento lattine in più? o saper isolare casa mia con i teloni di plastica, o saper mangiare le bucce di melone o qualsivoglia pratica di sopravvivenza, perché il punto è e resta solo questo: sopravvivenza, non “vivenza”. Preparare il rifugio in cantina è la soluzione o non è solo allungare l’agonia?

          3. Si coi nomi c’è stata un pò di confusione, comunque Stefano in merito all’ottimismo mai sentito il detto ” beata l’ignoranaza”!?
            Certo l’ottimista avrà anche maggiore soddisfazione dalla vita, però “cade dal pero” appena si trova a sbattere sulla limpida realtà dei fatti! 1+1 fa sempre 2, anche se sono ottimista e spero che faccia 3

          4. non è esattamente così: ti faccio notare che hai un’immagine dell’ottimismo che si sovrappone molto con la stupidità. L’ottimismo ha più a che fare conla perseveranza, che con il buon umore o il pensiero positivo.

  11. Ciao a tutti,
    io non credo che ogni prepper pensi “E’ inevitabile che questo succeda”, ma piuttosto che “E’ altamente improbabile che questo succeda, ma se dovesse succedere io voglio essere pronto”.
    Purtroppo il benessere e il lusso fanno spesso parte di un continuum e non ci si rende conto di quando si smette di essere nel benessere e si passa nel lusso. In un paese preso a modello per 40 anni come gli USA si consumano in media 500 litri pro capite di acqua al giorno. La stragrande maggioranza delle persone probabilmente noi compresi non si rende conto di quando si passa la linea che divide il benessere dal lusso. Voglio ricordare che scriviamo su computer che non fanno parte della categoria “benessere”, anche se hanno utilizzi molto più nobili (tipo questo) rispetto ad altri marchingegni.
    Tecnicamente non è detto che capiti qualcosa che dall’oggi al domani cambi radicalmente il nostro stile di vita, potrebbe essere qualcosa di progressivo e relativamente lento, anche se i numeri mi dicono il contrario: anche solo il fatto che abbiamo impiegato lo stesso tempo a passare da 5 a 7 miliardi di quello che abbiamo impiegato a passare da 4 a 5. Non mi pare che la tendenza sia destinata a invertirsi, visto che la maggior parte di queste nascite sono contentrate nei paesi in cui l’unica probabilità di sopravvivenza è quella di figliare perchè quando si sarà anziani ci sarà qualcuno che si prenderà cura di loro. Bisogna diminuire la crescita e l’unico modo per farlo è quello di aiutare il progresso veloce di questi paesi. Meglio si sta in un paese e meno si procrea, qui non ci piove.
    Ma per farlo invece di portargli il pesce sotto forma di “aiuti” bisogna insegnargli a pescare. Ma se gli insegni a pescare come fai a mantenerli dipendenti da te e dai tuoi interessi economici di paese sviluppato? Ecco cosa intendo quando parlo di mondo a più velocità.
    Nemmeno io sono convinto che non ci sia niente da fare, qualcosa da fare c’è sicuramente. Che questo possa avere effetti su larga scala invece lo vedo altamente improbabile, ma non è detto che questo voglia dire che non bisogna fare niente.

    Per fare un ricco ci vuole un povero è una delle mie massime preferite, mi è venuta in mente il primo anno che ero in Africa. E più ci penso e più mi sembra vera.
    Un saluto a tutti.

    1. Un ragionamento semplice semplice sulla sovrappopolazione: l’umanità ha sempre avuto una certa fertilità media, adatta ad un ambiente con alta mortalità infantile e scarsità di cibo. Ora queste due sciagure SOPRATTUTTO nei paesi di recente sviluppo sono ed in via di sviluppo sono radicalmente diminuite. Grazie ad esempio alla Rivoluzione Verde in agricoltura o ai progressi della medicina sia curativa che preventiva.
      Proprio perché la tecnologia può tanto, ho fiducia. MA se continuiamo a credere che la “famiglia numerosa è un dono di Dio”, ci opponiamo alle politiche di educazione demografica e non garantiamo i diritti riproduttivi delle donne, faremo un gran gran casino!

      Per quanto riguarda il consumo di acqua pro capite, non sono le nostre docce a consumare 500 litri al giorno, ma i nostri consumi alimentari: la produzione di carne (soprattutto di bovino) e latticini consumano centinai di litri di acqua pro capite al giorno. Ma di quanta carne ha davvero bisogno un uomo? Io credo che la quantità sia zero, ma qualsiasi abbassamento di questa quantità diminuisce quel consumo in modo drammatico.

      1. Appunto !
        Hai centrato il problema: i danni ci sono e (se vogliamo) li vediamo tutti. Le soluzioni, anche più di una, ci sarebbero, ma non si fa NULLA per attuarle su una scala che ha senso e porterebbe dei risultati concreti.
        Si, ci siamo noi anime candide con i nostri gesti green, ma il nostro apporto è una goccia nel mare.

  12. Scritta così sembra che la verdura cresca a secco.
    Io non sono ne vegetariano ne vegano, la mia visione binoculare, la mia sensibilità doppia al colore verde rispetto agli altri, la mia dentatura e la latitudine di posa (piu di 30 ev come un essere umano medio) della mia vista me la farebbero vivere come una cosa strana, ma ognuno e libero di mangiare quello che crede e ci mancherebbe altro.
    L’esempio dell’acqua era appunto un esempio sullo spreco, potevo farlo sulla benzina o sulla corrente ed era uguale.
    Sul resto e esatto Francesco, l’unica cosa sarebbe riuscire a introdurre una politica di decrescita per noi e di sviluppo nei paesi poveri che non si fondi sul fare figli a manate.
    Ma vedendo il mondo che ci sta intorno al di fuori del nostro metri cubo di terra quanto è realisticamente possibile farlo in un tempo breve abbastanza (tra 10 anni saremo 8 miliardi…)?
    Realisticamente dico, non oniricamente.

    1. la “verdura” beve molto meno di quanto beva una mucca, che beve di suo e in più si mangia cereali e soia che potremmo mangiare noi, che a loro volta bevono. E’ solo un’applicazione pedissequa del II principio della termodinamica… Cmq, come dicevo prima a Marco, non so come ma sono stato ribattezzato Francesco – anche se sembra che io sia Stefano…
      CIAO!

      1. Soluzione semplice e rapida per il consumo di risorse degli allevamenti?? Mangiamo più vitelli! le mucche non crescono, bevono meno e mangiano meno! problema risolto! 😛 ovviamente è una battuta.

  13. Comunque per tornare in topic secondo me (ma ne faccio una questione matematica) se anche tutti ci mettessimo nel nostro piccolo a risparmiare acqua ed energia senza far crescere i paesi sottosviluppati abbastanza da diminuire la loro incidenza demografica servirebbe a poco.
    Prima o poi accadrà che saremo troppi, e come nell’esempio delle scimmiette sul ramo si cadrà. Ovviamente si spera che non succeda e che, se proprio proprio deve succedere, succeda il più avanti possibile. Saremo la prima specie della storia del pianeta ad estinguersi perchè ha modificato talmente tanto il suo habitat (e compromesso a tal punto la vivibilità per “homo”) da renderlo inospitale per se stesso.
    Con l’aggravante che sapeva che lo stava facendo.

  14. Ciao Stefano

    Rispondo alla tua del 31 OTTOBRE 2012 ALLE 16:35, pare che non ci sia più la possibilità di rispondere direttamente a quella. Tu dici “sopravvivenza, non “vivenza””.

    Credo sia una questione personale: ognuno è libero di fissare un suo livello minimo di qualità della vita sotto al quale decide di staccare la spina e se ne va al creatore. Lo dico davvero, sono ad esempio contro gli accanimenti terapeutici stile caso Englaro.
    Se per qualcuno la vita dopo il patatrack non è degna di essere vissuta può sempre porvi rimedio… se ci arriva!

    La differenza è che io, come prepper, ho molta più probabilità di arrivare a quel punto e di poter SCEGLIERE. Altri che prepper non sono, forse non saranno in grado di arrivare a quel punto e non potranno scegliere, ma limitarsi a SUBIRE il destino. E magari tra questi c’è chi pensa che sopravvivere sia cmq meglio che morire.

    E poi… prima parliamo di “ottimismo e perseveranza” e poi ripudiamo il valore di una vita perchè vissuta male? Ecco, allora l’ottimista sono io!! che penso che valga la pena di vivere comunque, anche se si tratta di sopravvivere, ma potendo scegliere di farlo o meno.

    Poi permettimi: son tutti buoni a fare i filosofi fino a 3 secondi prima vedersi la morte davanti. Poi la parte animale butta fuori dalla testa tutte le menate e fa scattare l’istinto.

    Infine, mi pare di capire che tu non abbia figli. Credo che chi ha la responsabilità di un cucciolo, non si ponga neppure il problema se la PROPRIA vita è degna di essere vissuta, perche se hai un figlio la tua via PUO’ (e non dico deve) non essere degna delle tue ASPETTATIVE, ma va benissimo per sostenere i tuoi DOVERI rispetto a chi hai messo al mondo.

    Ultimissima: non ci sono solo patatrack enormi ed improvvisi, ci sono anche quelli lenti ma inesorabili che ti erodono piano piano.

    M

  15. Molto interessante questo articolo, come tutti quelli che ho avuto il piacere di leggere.
    Tornando all’argomento peppers consiglio un film uscito di recente: Take shelter.
    Quello che mi sono chiesta durante il film, nonché in questo post, è come vivono in generale le persone ossessionate dall’evitamento di un pericolo. Sicuramente il controllo abbasserà il livello d’ansia, ma cosa ne è delle loro relazioni, della loro vita sociale e lavorativa al pensiero di una catastrofe imminente?
    Il film che vi consiglio viaggia lungo il limine tra schizofrenia e preveggenza, ma soprattutto coglie la sofferenza dell’uomo quando i suoi occhi non riescono più a vedere la bellezza dell’imprevedibilità della nostra esistenza, perché d’accordo pensarci al sicuro insieme ai nostri cari è quanto di meglio potremmo augurarci, ma ricordiamoci che sono solo pensieri, in realtà dove siamo e cosa stiamo facendo per essere davvero felici?

    1. A me “Take Shelter” proprio non è piaciuto. Ma proprio per niente!
      Quel film sta al prepping come un film porno sta ad una normale storia d’amore. Si nono voluti portare al limite del sub/para-normale una serie di stereotipi e luoghi comuni. Lo scopo è quello di far presa sull’immaginario collettivo partendo proprio dalle “spore d’ignoranza” che già ci sono. Ovvero:
      – i prepper sono un po’ matti
      – la loro “malattia” li aliena dalla realtà
      – li porta a delapidare i risparmi
      – li porta ad allontanarsi dalla famiglia
      – anche i loro genitori sono pazzi (e quindi? c’è della genetica?)
      – anche loro lo sanno che dovrebbero farsi curare
      …per poi finire con un cliff-hanger da BMovie…
      – ma… se avessero ragione loro?

      Scusate, ma quello non è un film sul prepping. E’ il film su di un disadattato in preda all’ansia e alle crisi di panico che, incidentalmente, essendo ossessionato dalle tempeste, si da al prepping.
      Non bisogna scordare, infatti, che quello che fa il protagonista nella pratico è considerato “consueto e normale” in una zona statunitense dove le case sono di legno e che è periodicamente flagellata dai tornado.
      Se poi vedete la versione in lingua originale e quella sottotitolata, scoprirete che (guarda caso) la traduzione ci ha messo del suo nello spostare il confine della “normalità agli occhi altrui” per servire meglio la pappa pronta a chi non conosce bene cultura e stile di vita medio USA…

      Come ho già avuto modo di dire più volte (http://www.prepper.it/index.php/comunita/160-dicono-dei-prepper) la mia vita anche grazie al prepping è bellissima. E’ proprio perchè vedo tutta questa bellezza e non voglio perderla che mi preparo.
      L’idea che questo stile di vita sia per persone tristi, ansione, emarginate o che esso possa portarti a quello stato è una preconcetto o uno stereotipo piuttosto superficiale.

  16. Comunque non volevo sposare qualche causa in particolare, per me se una persona è felice, sta bene con sé stessa e con gli altri va benissimo, dipende dalla qualità di vita percepita e non c’entrano etichette di sorta.
    Diciamo che avevo accennato al film perché in qualche modo richiamava a paure rispetto ad eventi catastrofici e poteva essere un punto di riflessione in più, non per forza un aggancio ai preppers.
    Il benessere è sempre soggettivo e ognuno trova una propria dimensione nel mondo, senza etichette o categorie di sorta.
    Buona vita!

    1. Ciao Sabina

      Il film che hai visto secondo me è stato fatto per farti vedere i preppers come dei rimbambiti. Per porre fine a una categoria che non piace ai “patrizi”, alla “classe dominante”, all'”elite”, a “loro” (li puoi chiamare in un milione di modi) è quella di renderli ridicoli, successivamente ci sono ancora due due passi ma quelli voglio che tu ci arrivi da sola con la tua fantasia :D, non voglio confezionarti il pensiero come quel regista (o meglio dire quelli che hanno pagato quel regista) o come il signor Aldo Grasso.

      buona vita anche a te Sabina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.