Omofobo? No, omonegativo!

Mia cognata è una donna molto simpatica; ha due bambini bellissimi, due forze della natura: per fronteggiarli ci vuole coraggio. Il tipico coraggio delle mamme, ovvero quella sfumatura di eroismo ironico e amorevole che ho sempre ammirato.

Ma se in casa c’è un minuscolo, insignificante ragnetto, l’eroica mamma di cotanta prole semplicemente scappa. Non può in alcun modo fare i conti con quella che per lei è una belva pericolosa, schifosa e velenosa. Insomma regge il bagnetto tutti i giorni, ma un ragnetto ogni tanto la distrugge.

Questa è una fobia, una paura “irrazionale”. Mia cognata sa bene che la sua paura è eccessiva, che non si basa su dati oggettivi – visto che nessun ragno gigantesco stile b-movie anni  ‘50 l’ha mai aggredita – e che è decisamente inadeguata rispetto alle circostanze, visto che lei è una provetta lanciatrice di ciabatte su zanzara e che potrebbe avere ragione del peloso aracnide con lo stesso metodo. Eppure…

Le fobie sono molto diffuse, e molti di noi ne soffrono a diversi livelli. Nei casi gravi, per cui c’è bisogno di un professionista come me e i miei colleghi, la vita sociale viene compromessa pesantemente: pensate se vi sentiste costretti a fermare la macchina improvvisamente in autostrada e a saltar fuori in preda al panico, perché un ragno è apparso sul parabrezza… non c’è da ridere, la vostra vita diventerebbe davvero difficile.

Ora, c’è un termine, che uso impropriamente anche io, sempre più utilizzato nel dibattito, soprattutto politico, che secondo me va chiarito adeguatamente per non incorrere in errori. Il termine è omofobia, che dovrebbe significare “paura per le persone omosessuali”. Questo termine  fu introdotto da uno psicologo (eterosessuale!) di nome George Weinberg nel lontano 1972. Lo coniò in un suo libro molto famoso, che precedette di un anno la cancellazione dell’omosessualità dalla lista delle malattie mentali dell’Associazione Psichiatri Americani (il DSM – III  II settima ristampa). Il libro si intitolava “Society and the Healthy Homosexual” e il termine “omofobia” descriveva l’avversione patologica nel ritrovarsi in luoghi chiusi con persone omosessuali. Provocatoriamente l’autore partì dal presupposto che se era stato possibile costruire una malattia mentale chiamata omosessualità, era altrettanto possibile costruirne un’altra per indicare chi odiava gli omosessuali.

Dal punto di vista esclusivamente psicopatologico, però, omofobia è un termine problematico. Quanti omofobi conoscete che fuggono urlando da una stanza con un gay, o sospetto tale? Vi immaginate Rosy Bindi o Carlo Giovanardi alzarsi e scappare terrorizzati quando un omosessuale dal pubblico si rivolge loro per fare una domanda? Oppure immaginate Svastichella  fuggire disarmato e terrorizzato scoprendosi all’ingresso del Gay Village, invece che usare una bottiglia rotta per infierire su una vittima inerme?

Inoltre applichiamo il termine omofobia non solo agli individui, ma anche a istituzioni e a larghi strati sociali, che giustificano “razionalmente” la discriminazione verso le persone omosessuali in base a tradizioni religiose o politiche, alla difesa di “diritti” di una maggioranza che si vedrebbe discriminata dalla minoranza degli omosessuali (lo so, l’argomento è ridicolo, ma viene presentato sotto diverse salse) o in base al timore che i comportamenti omosessuali possano diffondersi in tutta la società, portandola inevitabilmente all’estinzione – perché “si sa” che gli omosessuali non si riproducono, con buona pace delle Famiglie Arcobaleno

Anche per questi motivi, una delle scale con cui si misura l’omofobia, la Modern Homophobia Scale di Raja e Sotkes, proposta nel 1998, prevede tre dimensioni – abbastanza inusuali per una “fobia classica”, ossia : la devianza, che misura la percezione dell’omosessualità come una malattia; la socializzazione, che si riferisce al disagio personale avvertito nei confronti di gay e lesbiche e, da ultimo, i diritti, cioè quanto il soggetto ritenga giusto riconoscere diritti alle persone lgbt.

Questo perché l’omofobia, Weinberg stesso lo riconobbe, è una fobia almeno atipica: manca infatti quasi sempre l’evitamento attivo e le manifestazioni di paura, mentre abbondano gli insulti, le aggressioni e i comportamenti discriminatori.

Il dibattito tra gli addetti ai lavori è aperto. E la mia umile opinione è che sia da preferire – tra gli addetti ai lavori si intende – il termine omonegatività. E che invece si continui a usare “omofobia” nel dibattito pubblico, proprio come si usano altri termini poco tecnici come “maschilismo”, “sessismo”, “cattolico” o “laico”. Sono termini, cioè, i cui significati sono costruiti dalla società e dai gruppi che li utilizzano e che non devono necessariamente corrispondere a qualcosa di altamente tecnico. Così preferirei usare il termine omonegatività per intendere un insieme di emozioni, credenze e atteggiamenti ampiamente negativi e discriminatori nei confronti delle persone omosessuali, se dovessi scrivere un articolo scientifico di psicologia.
Ma al di là della “nerditudine” di questa distinzione, perché è importante questo chiarimento?

Perché in questo momento, in Italia, diversi politici si stanno impegnando in una campagna di negazione esplicita e programmatica dei diritti civili delle persone lgbt: Pierferdinando Casini e Rosy Bindi ne sono due esempi. Durante una manifestazione griderei anche io qualche slogan politico come “Bindi omofoba!” ma quando si tratta di pensare (e non si pensa mai abbastanza) occorre riconoscere le differenze e sapere bene che Pierferdinando e Rosy non sono tanto omofobi, quanto omonegativi sui nostri diritti. A giudicare dalle loro dichiarazioni, non ci ritengono direttamente persone disprezzabili in quanto gay, lesbiche, bsx o transessuali, piuttosto affermano che non possiamo avere gli stessi diritti di chiunque altro: se e quando condividere diritti e doveri con un compagno o una compagna, avere dei figli, ovvero costruire una famiglia. Giovanardi invece sembra più un omofobo: da alcune sue dichiarazioni, ho come l’impressione che gli facciamo un po’ senso.

Combattere l’omonegatività non significa tanto far “passare” la paura a chi ci discrimina. Non si tratta più di fare monologhi alla Shylock, bellissimi e patetici, per far sentire agli altri che siamo essere umani come loro, né si tratta più di fare gesti provocatori per rompere un muro di silenzio. Si tratta di argomentare razionalmente che negarci matrimonio e adozioni è soltanto discriminatorio. Come comunità, abbiamo il compito di comunicare la nostra capacità di assumerci i diritti e i doveri che discendono dal condividere la vita con chi amiamo, di educare i nostri figli al pari di chiunque altro, di contribuire, in una parola, al bene comune. Per questo rivendichiamo il diritto che questa capacità venga accresciuta e salvaguardata.

Per il bene di tutti. Anche di Bindy, Casini e Giovanardi.

(l’immagine in evidenza è presa da www.informagiovanigiulianova.it)

14 pensieri su “Omofobo? No, omonegativo!

  1. Buongiorno e complimenti per l’articolo, molto acuto e lucido nella riflessione.
    Sto creando un blog per genitori e operatori psicologici per l’infanzia, e vorrei inserire quest’articolo, ovviamente citandone la fonte. Per te va bene?
    Emanuela

  2. ho scritto in merito sul mio blog anni fa.
    pare che fobia in greco significhi anche avversione.

    mi dava fastidio che si parlasse di “xenofobia” dando implicitamente per scontato “se sei avverso vuol dire che sotto sotto hai paura”

  3. Complimenti, ancora una volta usi uno stile piacevole e divertente per argomenti delicati 🙂
    Mi viene in mente una cosa: il DSM-III è dell’80, quindi il libro di Weinberg ha preceduto di 8 anni la cancellazione dell’omosessualità dalle psicopatologie.

  4. Ho notato che spesso si reagisce alle fobìe con violenza: chi ha paura dei ragni o di insetti in generale spesso li uccide, con o senza motivazioni plausibili. Tutto sommato non siamo così capaci di riconoscere i diritti- umani o animali- perché trovo ridicolo rimpinzare case famiglia o orfanotrofi, spesso malmessi, di bambini abusati disagiati o peggio. Possibile che sia addirittura preferibile questa discutibile situazione all’eventualità di fornire loro una famiglia, anche se non “standard”?

  5. E’ molto interessante la sua distinzione, ma non mi convince.
    Facciamo che lei abbia ragione quando scrive che alcuni “… non ci ritengono direttamente persone disprezzabili in quanto gay, lesbiche, bsx o transessuali, piuttosto affermano che non possiamo avere gli stessi diritti di chiunque altro”.
    Mi permetta la battuta: e quindi? Che differenza c’e’ tra Giovanardi che prova ribrezzo e nega i diritti, e questi che non provano ribrezzo e negano i diritti con gli stessi identici argomenti e risultati di Giovanardi?
    Direi che non sono di certo i brividi di schifo di Giovanardi che fanno di lui un omofobo, ma la pura condivisione dell’idea (socialmente condivisa) che gli omosessuali non siano persone complete e quindi non degne dei diritti. Davvero non c’e’ alcuna differenza qualitativa.
    Tra chi disprezza i neri (white supremacists) e chi non vuole dar loro diritti, che cambia?
    Grazie.

    1. Caro Alessandro,
      c’è la stessa differenza tra una convinzione politica e un disturbo acuto su asse I (fobia specifica).
      Posso avere una decisa paura dei cani ed oppormi a qualsiasi atto violento contro di loro (non so, sperimentazione animale, uccisioni di massa come in Ucraina in occasione dei mondiali).
      Giovanardi (ammesso che quello che dice sia vero) ha un disturbo che si chiama omofobia. Lorella Cuccarini è omonegativa: ha interiorizzato con più o meno autocoscienza una serie di norme sociali che possiamo sperare di cambiare.
      Gli omofobi vanno curati (se vogliono), gli omonegativi convinti o politicamente battuti.

      Come avrai letto, anche io continuerò ad usare il termine “omofobo” per riferirmi alla Cuccarini, alla Zanicchi o a Giovanardi. Ma si tratta di un uso pratico e politico, che dal punto di vista scientifico pone dei problemi che ho cercato – non so quanto bene – di accennare in questo post.

      A rileggerti!

      1. Eh no, mi spiace.
        Neanche con l’esempio del cane mi convince.
        Quando una persona e’ omofoba, non e’ che poi (come nel caso dei cani) ci voglia star lontano MA si oppone a ogni ingiusta discriminazione nei confronti degli omosessuali.
        Cosi’ come quando una persona e’ “omonegativa” si oppone ugualmente ai diritti. Infatti condividono lo stesso commongroun, lo stesso universo simbolico, lo stesso disprezzo sociale. Mi perdoni, ma non cambia, men che meno in confronto alla fobia dei quadrupedi.
        Grazie per la sua risposta.

        1. Prego 🙂
          non insisto perché ripeterei quello che ho detto. Posso solo dirle che ho un amico che ha dovuto lavorare olto sulla sua “omofobia” (nel senso che i gay gli facevano senso) pur non avendo nulla contro i nostri diritti. Si è accorto di essere a disagio con un omosessuale quando ne ha incontrato uno (che poi sarei io).
          A rileggerci !

        2. Ciao Alessandro,
          se posso risponderti vorrei dirti che sono d’accordo con te, anche se parzialmente. Nel senso che le cose sono molto complesse: ci sono le persone che si mettono in discussione e più che dare la colpa agli altri, preferiscono ascoltare se stesse. Altri invece sono più, come dire, istintivi, per cui tendono a vivere la paura in modo meno consapevole. Facciamo l’esempio della fobia per i cani: c’è chi si rende conto dell’irragionevolezza della sua paura, per cui sa che il cane di per se magari è anche buono, e c’è chi fa un ragionamento del tipo “siccome il cane mi fa paura allora è cattivo”. E’ una questione di consapevolezza e di disponibilità al lavoro su se stessi. Poi ci sono coloro che non hanno paura dei cani, ma pensano che non debbano essere trattati con riguardo, anzi se vengono maltrattati è meglio. Da questo punto di vista, la distinzione tra omofobia e omonegatività è dunque sottile, anche se in teoria può avere senso. In realtà omonegatività e omofobia in molti casi si fondono. È per questo che secondo me il termine omonegatività è troppo “buono”, sarebbe necessario proporre una terminologia un po’ più forte che sottolinei l’assurdità del comportamento fobico o omonegativo che sia, in modo che ci sia maggiore consapevolezza circa il fatto che ciò che è cattivo non è l’omosessuale, ma la discriminazione che gli viene perpetrata.
          Infatti, se diamo per buono il termine omonegativo, allora per es. la discriminazione nei confronti dei neri ( a cui spesso non sono stati riconosciuti gli stessi diritti dei bianchi) come può essere definita? neronegatività?

          1. Laura,
            per me e’ solo “tutta roba da psicologi” questa distinzione 🙂
            L’omofobia e’ un concetto inesatto che ora e’ sostituito con eterosessismo, che offre una connotazione piu’ chiara della questione, essendo il timore e il disgusto causate da un sostrato culturale e sociale. Vivo in un ambiente culturale piu’ estremo, il Far West americano, dove certe distinzioni perdono di senso e restano in piedi solo ed esclusivamnte in ambienti isolati, monocolore, monoculturali come l’Italia. O in ambienti del profondo sud americano, dove e’ come vivere in Basilicata e Veneto. E qua si vede benissimo che la fobia non e’ una questione personale. E’ un sistema di valori incondizionatamente positivi verso tutto quel che e’ etero, ed esclusivamente negativi per tutto quel che non lo sia. E questo sistema di valori, regole, leggi, insegnamenti, censure induce etero e gay a considerare l’omosessualita’ come qualcosa di essenzialmente negativo, antisociale, disgustoso, pericoloso eccetera. Senza questi insegnamenti come unico modello culturale, guarda caso questa “cosa”, l’omofobia, non appare. La self-efficacy infatti e’ la strategia per demolire l’eterosessismo (o l’omofobia, chiamiamola come diavolo ci pare).
            Sull’esempio della fobia per i cani, ammetto la mia profonda ignoranza, vedo solo una GRANDE differenza: il cane fa paura a me, non fa paura perche’ puo’ costringermi a essere un cane se solo conquista il potere (come nel caso della famigerata lobby gay).

  6. Ho letto con piacere il tuo articolo e devo dire che è molto interessante. La questione si profila complessa considerato che spesso una distinzione netta tra l’omofobico e l’omonegativo non c’è. Conosco persone che hanno paura di essere considerate omosessuali da parte dei loro coetanei, per cui evitano l”oggeto” temuto e si sentono a disagio in sua presenza. A questo si accompagna anche l’utilizzo di un vocabolario volgare e inopportuno, perchè certi termini aiutano a tenere a distanza certe situazioni e a sentirsi più uguali a chi omosessuale non è. Su questa base va da se che l’omofobico aderisca con entusiasmo a tutti i falsi principi che intendono negare i diritti all'”oggetto” temuto, perchè meno l'”oggetto” fobico si esprime, vive e respira meglio è. E’ vero che nella fobia una caratteristica è quella di rendersi conto dell’irragionevolezza della propria paura, ma questo sembra non valere per l’omofobia, che è sostenuta da una società che legittima certe forme di discriminazione. Quindi, secondo me, sarebbe necessario far passare maggiormente il concetto che certe forme di discriminazione non sono semplice omonegatività, ma vero e proprio razzismo.

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