Sei proprio sicuro di aver chiuso a chiave la macchina?

So bene che anche voi lo fate. Non ditemi no. Lo so, vi vergognate un

Tanto per essere sicuri ...

po’: quando vi succede, fate attenzione perché nessuno vi veda. Sì, li sentite dentro, quella spinta, quel desiderio, sono più forti di voi: non potete evitarli. Così lo fate, con un po’ di vergogna, ma cedete: tornate indietro e verificate: “Sì , l’ho chiusa bene!”. Ora potete mettervi il cuore in pace, avete fatto quello che dovevate e la vostra automobile è indubbiamente chiusa.

tanto per ricordarsi ...

Ad alcuni può succedere anche con la porta di casa, o con il gas o la luce. Di solito l’impulso incoercibile di verificare ci sorprenderà mentre siamo in viaggio, assorti, e rivediamo tutto quello che dovevamo fare prima di partire: è il momento in cui siamo più deboli, e il dubbio, diabolico, “lo sa”. E si nasconde nei particolari: “Avrò chiuso il gas?”. L’attimo di sospensione che segue spalanca l’abisso, un po’ come Wile Coyote che continua a correre nel vuoto, ignaro, finché non guarda, irrimediabilmente, giù, e non può che precipitare. Così la mente si svuota, uno schermo bianco senza trasmissione – nessun ricordo di aver girato quella benedetta valvola. Affannosamente vi sforzate di ricordare – niente. Poi di dedurre: “Se ero in cucina per prendere le chiavi, che ho preso, allora vuol dire che ho anche chiuso il gas…”. Ma la certezza sfugge alla logica, il ragionamento è impotente – non c’è prova sufficiente che

No! Nooo! Nooooooo!

abbiate compiuto l’azione di ruotare la valvola del gas. Manca il dato. Contemporaneamente, si formano le prime inevitabili immagini di una perdita di gas, sottile, costante e inesorabile. Come una palla di neve, alimentata dal moto perpetuo dall’ansia, quest’immagine si fa sempre più concreta e vera: ora il vostro appartamento è completamente saturo di venefico metano, le finestre completamente chiuse (ne siete certi, perché le avete controllate prime di uscire) stanno confezionando la bomba che provocherà la strage di cui sarete unici e criminali responsabili! E tutto per una

è tutta colpa tua!

piccola svista!

Quello che sto descrivendo, magari con un po’ di (auto)ironia è il meccanismo alla base di un disturbo che si chiama DOC, ossia Disturbo Ossessivo Compulsivo. È un disturbo molto serio, che letteralmente rovina la vita di chi ne soffre, ma che, come spero di aver mostrato poco sopra, non è un’esperienza lontana dalla nostra quotidianità.

Secondo il DSM IV – TR (cioè il Manuale Diagnostico delle Malattie Mentali) le ossessioni sono caratterizzate da quattro aspetti:
“1) [esse sono] pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento nel corso del disturbo, come intrusivi o inappropriati, e che causano ansia o disagio marcati;

2) i pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per i problemi della vita reale;

3) la persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni;

4) la persona riconosce che i pensieri, gli impulsi, o le immagini ossessivi sono un prodotto della propria mente (e non imposti dall’esterno)”

Per “scacciare” queste ossessioni, chi ne soffre può sentire il bisogno impellente di mettere in atto dei “rituali” ossia una serie di azioni, che vengono definite compulsioni. Il DSM IV – TR a questo proposito recita:

... ancora e ancora e ancora e ...

“1) comportamenti ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare), o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad un’ossessione, o secondo regole che devono essere applicate rigidamente.

2) i comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il disagio, o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; comunque questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.”

E soprattutto,

“B) in qualche momento nel corso del disturbo la persona ha riconosciuto che le ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli (questo non si applica ai bambini).

C) Le ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo (più di un’ora al giorno), o interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico), o con le attività o relazioni sociali usuali.”

Curare un DOC è complicato. Le terapie più efficaci sembrano essere quelle cognitivo-comportamentali, meglio se affiancate con l’uso di psicofarmaci, in particolare gli antidepressivi – per chi ama ossessivamente i particolari dirò si tratta di inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI), la famiglia di farmaci a cui appartiene il famosissimo Prozac.

Come si sviluppa questo disturbo è ancora oggetto di ricerca (come per ogni psicopatologia ovviamente). In questo breve post, ho cercato di mettere in luce uno, forse il più frequente e probabile, meccanismo con cui può instaurarsi questa auto-tortura: il timore di colpa per irresponsabilità. Chi soffre di un DOC sente particolarmente grave l’omissione di un atto di controllo, che potrebbe produrre esiti negativi. Insomma è peggio per un “ossessivo” sbagliare per non aver fatto (temere cioè di essere irresponsabili) che per aver fatto qualcosa di male (cfr. F. Mancini, in “Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva”, curato da Bruno G. Bara). A messa, costoro si battono più forte il petto per le omissioni, che per le parole e le opere.
Proprio per questo, inoltre, sono più inclini a temere le conseguenze dei loro atti mancati: catastrofizzano molto velocemente e non sono affatto inclini a considerare le prove contrarie alle loro convinzioni. È come se dicessero: “Ok, fino ad ora non è mai successo che abbia fatto esplodere il mio appartamento perché non ho chiuso il gas, ma come posso essere sicuro che non avverrà la prossima volta?” – rispondere “In nessun modo” significa confermare che il loro comportamento è corretto, costringendoli a ripetere il rituale ancora ed ancora.
Inoltre, molto spesso questo comportamento si accompagna al “pensiero dicotomico”. Chi ne soffre, cioè, tende a vedere tutto per estremi: completamente responsabile o completamente irresponsabile, totalmente buono o totalmente cattivo… Totalmente sicuro o totalmente insicuro. Totalmente colpevoli e degni di condanna, o del tutto innocenti.

E voi come vi sentite? Da parte mia sono abbastanza sicuro di essere un po’ colpevole – e un po’ innocente.
E adesso vado a controllare di aver davvero chiuso a chiave la macchina …

 

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