La compassione salverà il mondo

di Stefano Ventura

Come spesso faccio, vorrei proporvi un “test” di una sola domanda:

Hai di fronte a te un ladro. Il ladro in questione, fuggendo da una casa in cui ha appena indubitabilmente commesso un furto, è caduto e si è gravemente ferito. Cosa provi per lui?

So che hai già la risposta, ce l’abbiamo tutti, ma prima di discuterne, vorrei provare ad allargare il discorso addentrandomi in un terreno complesso, insidioso e affascinante: le nostre emozioni e sentimenti.

Alzi la mano chi è convinto di questa semplice asserzione: “Le emozioni sono una parte irrazionale della nostra vita, sono suscitate da stimoli esterni, sono difficili da controllare, non dobbiamo reprimerle e vanno assecondate, o ci verrà un malanno”. O una versione equivalente, magari tinta di un immancabile riferimento alla “saggezza del cuore”.

Tuttavia si può (e un po’ si deve) cambiare punto di vista sui sentimenti, magari aiutandoci con un po’ di filosofia e di psicologia. Inoltre alla fine di questo breve excursus spero anche di mostrare perché un sentimento in particolare può essere molto importante nella nostra vita politica: la compassione.

Andiamo con ordine, e prendiamo in esame la prima parte dell’affermazione: le emozioni sono irrazionali. Ecco, direi di no. Se la cosa vi sorprende, cercherò di spiegarmi meglio.

Innanzitutto, le emozioni hanno uno scopo preciso. Qualche esempio. Se qualcosa ci dà gioia e piacere, vogliamo continuare a farla. Se qualcosa suscita la nostra rabbia, vuol dire che siamo di fronte a un ostacolo da superare (e la rabbia mette in moto energia) o che abbiamo subìto un danno che vogliamo “vendicare”, ossia riparare. Il disgusto ci protegge da sostanze velenose, la paura ci guida ad evitare dei pericoli. La tristezza ci segnala un danno irreparabile, e ci prepara a lasciar andare. Condividiamo queste emozioni con la quasi totalità dei vertebrati (tanti esseri viventi! Davvero), al punto che le riconosciamo molto bene nei mammiferi: pensate al vostro cane o gatto, sappiamo se sono arrabbiati o felici senza essere degli esperti di comportamento animale.

Esistono poi delle emozioni “sociali”, che condividiamo a vari livelli con i primati: l’imbarazzo, la vergogna, la colpa, il disprezzo, l’orgoglio… e la compassione. Tutte emozioni che hanno a che fare con il nostro rapporto con gli altri, a cui siamo legati da vincoli di collaborazione per la sopravvivenza. E proprio per questa dimensione sociale tali emozioni hanno necessariamente un valore “politico”.

Da questi primi cenni possiamo ragionevolmente mettere in dubbio che le emozioni siano “irrazionali”: hanno uno scopo e un oggetto piuttosto preciso. E proprio per questo ne possiamo parlare, o come direbbe Edmund Husserl, il fondatore della corrente filosofica chiamata “fenomenologia”, i sentimenti e le emozioni possono essere interrogati.

Se accettiamo questo dato di fatto, possiamo essere d’accordo con una tesi piuttosto radicale: le emozioni sono dei giudizi di valore sul mondo, e proprio per questo contengono un’interpretazione della situazione che stiamo vivendo. Se non interpretassimo uno stato di fatto come pericoloso, non proveremmo paura, ossia non ci disporremmo ad affrontarlo tendendo i muscoli, aumentando il battito cardiaco, acuendo i sensi e preparandoci ad attaccare o fuggire. Per chiarezza, non sostengo certo che tutte le emozioni derivino da un ragionamento conscio, anzi! La maggior parte delle nostre elaborazioni cognitive avvengono inconsciamente, a grande velocità, e ne conosciamo solo il risultato finale come un dato di coscienza. Se siete interessati a capire come, vi consiglio di approfondire le ricerche di J.F. Kihlstrom sull’inconscio cognitivo.

Spero di avervi almeno in parte convinto che i sentimenti e le emozioni fanno parte della nostra “vita razionale”, come hanno sostenuto lo psicologo Richard Lazarus e, ben prima di lui, la scuola filosofica degli Stoici.

Se accettiamo questo, possiamo anche comprendere come le emozioni e i sentimenti dipendano dalla nostra visione del mondo, e possano essere educati. Sorpresi? Bene, la sorpresa è un’emozione utile perché ci aiuta a indagare.

Possiamo davvero educare la rabbia? Sì. Provate a considerare questa situazione: qualcuno vi urta violentemente sul marciapiede, vi girate arrabbiati e vedete che si tratta di un non-vedente. Siete ancora arrabbiati o addirittura chiedete scusa? E se iniziassimo a considerare tutti i motivi che spingono una persona a fare quel che fa, saremmo ancora in grado di arrabbiarci con la stessa intensità? Ora torniamo al nostro esperimento iniziale e alla compassione: riuscireste a provare compassione per quel criminale? Visto che sono in vena di scommesse, sono quasi sicuro di no, perché pensate che “non se la merita”. Bene: soffermiamoci su questa valutazione. Abbiamo ri-scoperto (tra poco vedremo perché) la definizione di compassione che diede Aristotele 2500 anni fa: una dolorosa emozione per la grave disgrazia che accade a qualcun altro (Retorica, 1385 b 13). Ma non finisce qui. Il filosofo continua argomentando che la nostra compassione sorge se crediamo che la persona non sia causa della sua sofferenza, ossia che essa sia immeritata, ma se riteniamo che egli sia cattivo (come nel nostro caso) riterremo la disgrazia una punizione per la sua ingiustizia. Martha Nussbaum, nel suo bellissimo e monumentale libro “L’intelligenza delle emozioni”, mette in luce la profondità di questa definizione della compassione e le conseguenze che essa ha per la vita pubblica. Ci sono infatti  due elementi su cui riflettere: il giudizio di gravità e l’implicita nozione di giustizia che la compassione porta con sé.

Possiamo giudicare grave un evento negativo capitato a qualcun altro perché abbiamo in mente una teoria generale su cosa sia la prosperità per un essere umano, quali siano le “cose buone” e quindi quali siano le “cose cattive” che minano questo benessere, questa possibilità di vivere e crescere. Così la compassione ci guida verso ogni azione che rimuova questi ostacoli, ad esempio assicurando rifugio, istruzione e cure mediche gratuite per tutti. E soprattutto vediamo questo qualcun altro simile a noi, riusciamo a sostituirci a lui o a lei e immaginare il suo dolore. Non solo, abbiamo anche un’idea di cosa sia la giustizia, di come andrebbe amministrata ai nostri simili, e del loro “valore” morale. Un aspetto interessante, ma anche molto pericoloso.

Siamo arrivati al nodo più attuale e coinvolgente per tutti: che ruolo hanno le emozioni nelle nostre scelte etiche, e quindi politiche? Perché se credo che alcune categorie di persone siano “ingiuste”, “indegne” o peggio “cattive e malintenzionate” non proverò certo compassione per loro, ma paura, disprezzo, rabbia e odio. È una questione globale, che investe tutti gli esseri umani, e non solo. Dipende dalla nostra capacità di educare noi stessi, di aprirci all’esperienza, di saperne discutere ragionevolmente. E sulla base di questa compassione matura, agire. In questo senso, nutrire compassione significa affermare in ciascuna situazione specifica, così diversa, così unica, il valore universale della vita e della prosperità per tutti.

Si tratta di un argomento ampio e urgente, perché letteralmente le sorti del mondo dipenderanno da una scelta: considerare le persone che fuggono e fuggiranno (dalle catastrofi ambientali, dalle guerre, dalla povertà e dalla fame) esseri umani ingiustamente colpiti (come potremmo esserlo noi) dalla disgrazia; oppure vederli come nemici da disprezzare, perché vogliono toglierci la nostra prosperità, la nostra sicurezza, il nostro benessere.

Partendo da questa riflessione, ho due libri da proporvi: il primo è un tentativo di descrivere cosa significa basare le nostre scelte politiche sulla compassione; il secondo è un manifesto filosofico che fa della compassione l’asse portante di un’azione simbolica e forse poco efficace, ma assolutamente necessaria.

“Karma Polis, da Bauman a Buddha e ritorno” è un libro a sei mani e tre cuori. Uno di questi è il mio.

Stefano Bettera, Massimo Paradiso ed io abbiamo provato a riflettere sulla cosiddetta “società liquida”, secondo la famosa definizione del sociologo Zygmunt Bauman. Crediamo che la compassione e alcuni importanti spunti che vengono dalla tradizione filosofica del Buddhismo possano contribuire a “ricostruire” una casa comune in cui tutti possiamo abitare, qui e ora, salvando letteralmente il mondo dalla crisi.

Sulla stessa lunghezza d’onda è il bellissimo “Vegan, un manifesto filosofico” di Leonardo Caffo.

Questo breve, chiarissimo saggio sulla filosofia che sostiene la scelta vegan è una lettura quasi obbligata per rendersi conto di quale sia l’estensione della compassione e la sua portata etica: come noi, gli animali soffrono, amano, muoiono. E sono allevati a miliardi come cose, senza la dignità di esseri senzienti, in allevamenti che sono l’inferno in terra. È possibile dirsi umani e dimenticare questa enorme massa di dolore?

Per ora vi lascio alle vostre considerazioni, e come faccio da anni, vi consiglio un buon gelato al pistacchio (magari di soia, ne fanno di ottimi!).

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